10 Ottobre 2014

Non smentire l’accertamento standardizzato costa caro al contribuente

di Luigi Ferrajoli
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La
Corte di Cassazione, con
sentenza
n. 17646/2014, ha statuito che
l’onere della prova in merito alla non applicabilità dei valori parametrici in materia di accertamento (e la conseguente irrilevanza delle risultanze emergenti nel segno dello scostamento da essi)
grava in capo al contribuente, il quale è tenuto a dimostrare in contradditorio l’esistenza di condizioni che giustifichino tale mancata applicazione.
La pronuncia fatta oggetto di attenzione trae origine da una
vicenda processuale che aveva visto soccombere l’Agenzia delle Entrate tanto in primo grado quanto in appello, quando la CTR Roma aveva dichiarato non legittimo l’avviso di accertamento impugnato dalla società controricorrente.
Per il tramite di detto avviso, che seguiva l’applicazione da parte dell’AdE dei parametri richiamati nelle righe che precedono,
l’Agenzia delle Entrate aveva effettuato la rettifica di una dichiarazione IVA con liquidazione di maggiori imposte per

6.242 oltre relativi interessi e sanzioni.
La CTR Roma poneva a fondamento del rigetto così operato l’asserita
lacuna in termini di motivazione riscontrabile in relazione all’avviso
de quo.
L’Ufficio, infatti, a detta del Giudice dell’appello non avrebbe provveduto ad esaminare con la debita attenzione la
sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che avrebbero dovuto contraddistinguere gli elementi presuntivi semplici posti dall’AdE a fondamento delle pretese impositive avanzate.
Tale atteggiamento, secondo la CTR Roma, avrebbe finito con il
ledere il contraddittorio attivato nei riguardi della società contribuente.
La Suprema Corte, per il tramite della sentenza in esame, si è innanzitutto premurata di dichiarare
l’inammissibilità del primo motivo di ricorso avanzato dall’Agenzia delle Entrate.
Le censure operate dall’AdE avverso la sentenza d’appello (attinenti, da un lato, alla ritenuta assenza della prospettazione di una motivazione alternativa; dall’altro, alla pregressa effettuazione del contraddittorio in altra sede) non venivano ammesse dalla Corte di Cassazione in quanto
l’Agenzia delle Entrate non avrebbe provveduto, dopo aver illustrato il motivo, ad elaborare il momento di sintesi.
Il secondo motivo di ricorso avanzato dall’Agenzia delle Entrate (fondato sull’asserita violazione e falsa applicazione di legge), al contrario,
coglie pienamente nel segno.
Denuncia infatti l’AdE che la CTR Roma, nel pronunciarsi, avrebbe disconosciuto il disposto dell’art. 2697 del Codice Civile, operando pertanto
un’indebita inversione dell’onere probatorio in capo all’Ufficio.
Tale asserita violazione sarebbe avvenuta a dispetto del dettato dell’art. 3, commi 181 e 184 L. n.549/1995, che nell’avallare l’utilizzo dei noti parametri nella quantificazione presuntiva del reddito impone che sia
onere del contribuente (e non dell’Ufficio) il provare in contraddittorio perché sussista scostamento tra le risultanze frutto dell’operatività di tali parametri e quelle emergenti dalla dichiarazione dei redditi.  
Nell’accogliere la censura così mossa la Corte di Cassazione si è premurata di operare un illuminante
richiamo alla giurisprudenza nomofilattica delle proprie Sezioni (sia Unite che semplici).
Riallacciandosi a quanto già statuito dalle prime con sentenza n.26635/09 (seguita dalle pronunce n. 7181/2012; n.6929/2013; n.10040/2014), la Cassazione ha effettivamente riconosciuto che
grava in capo al privato l’onere probatorio riguardante l’esistenza di condizioni in grado di fondare la non inclusione del soggetto considerato nel novero di quelli sottoposti all’operatività dei parametri o degli studi di settore.
La funzione del contraddittorio è, a detta della Suprema Corte, esattamente quella di consentire al contribuente di
smentire la ritenuta gravità, precisione e concordanza delle presunzioni semplici sulle quali si fonda l’attivazione di tale modalità di accertamento standardizzato.
Ovviamente
questo non autorizza l’Ufficio ad astenersi dal motivare tanto la concreta applicabilità degli standards individuati quali adatti allo specifico caso quanto il perché non siano state accolte le doglianze del contribuente.
Ciò non toglie, tuttavia, che proprio quest’ultimo debba attivarsi per
fornire nella sede a ciò deputata le giustificazioni opportune al fine di chiarire, come scritto, per quale (o quali) ragione lo scostamento
de quo si sia verificato.
Come ricordato dalla Corte di Cassazione in conclusione della parte motiva della sentenza,
l’applicazione del sistema di accertamento tributario standardizzato non può né deve gravare l’AdE (a fronte di un contraddittorio non debitamente sfruttato dal contribuente ai propri fini) di oneri probatori che mal si attagliano alla natura dello strumento.
Sarà dunque bene per il contribuente, in futuro, tributare la dovuta attenzione a quella che pare essere la concreta declinazione giurisprudenziale dell’antico brocardo “
onus probandi incumbit ei qui dicit”.