23 Settembre 2013

Non sempre facile stabilire la residenza fiscale

di Ennio VialVita Pozzi
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La questione della residenza fiscale di una persona fisica è alquanto delicata in quanto da questa discendono una serie di conseguenze rilevanti sotto il profilo tributario. Senza ricordare il tema della tassazione su base mondiale in luogo della tassazione limitata ai redditi prodotti in Italia come accade per i non residenti, ci sono anche conseguenze relative ad ulteriori adempimenti come la compilazione del modulo RW o la debenza delle nuove patrimoniali estere (IVIE e IVAFE).

E’ appena il caso di ricordare come in base all’art. 2 del Tuir una persona fisica è considerata residente fiscalmente in Italia quando per la maggior parte del periodo d’imposta risulta iscritta nelle anagrafi della popolazione residente o ha nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile.

Il concetto di domicilio si sintetizza con la sfera degli interessi personali e professionali mentre il concetto di residenza civilistica fa riferimento alla dimora, ossia alla presenza fisica.

Se una sola di queste tre condizioni risulta soddisfatta, la persona fisica sarà considerata fiscalmente residente nel nostro Paese. E se ciò accade? E’ tutto perduto?

L’esperienza concreta mostra come vi sia una certa “vischiosità” nella cancellazione dalle anagrafi della popolazione residente per motivi psicologici, per le conseguenze sulla tutela sanitaria o per semplice dimenticanza o ignoranza della norma. Questa situazione porta a frequenti casi di doppia residenza fiscale.

E’ bene ricordare come la normativa interna possa essere più o meno agevolmente superata dal disposto convenzionale. L’art. 4 del Modello di convenzione elaborato dall’OCSE contiene una serie di regole successive che devono essere prese in considerazione al fine di dirimere il conflitto di residenza.

In prima battuta la persona fisica è considerata residente dello Stato contraente nel quale ha un’abitazione permanente. Si deve porre la massima attenzione al concetto di abitazione che non va inteso nel senso di immobile quanto piuttosto nel senso di “home”, ossia di focolare domestico.

Il criterio è quindi raramente dirimente in quanto chi si trasferisce fisicamente all’estero conserva spesso un luogo in Italia dove può tornare, non fosse altro che la casa dei suoi genitori. E’ quindi necessario passare allo step successivo. Il modello prevede che quando la persona dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati, è considerata residente dello Stato nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali).

In questo caso tende a “vincere” il Paese in cui uno lavora abitualmente in quanto le relazioni personali e quelle lavorative si concentrano soprattutto nel nuovo Paese. Le conclusioni non sono tuttavia sempre scontate, soprattutto nel caso in cui il soggetto lasci in Italia la moglie con i figli.

L’analisi in questa fase può tuttavia bloccarsi in una situazione di stallo. Il passaggio successivo della convenzione, tuttavia, stabilisce che se non si può determinare lo Stato nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o nella più improbabile ipotesi in cui la medesima non abbia un’abitazione permanente in alcuno degli Stati, la persona è considerata residente dello Stato in cui soggiorna abitualmente. Ecco che tendenzialmente nei casi “concreti” tende a prevalere il Paese in cui il soggetto è abitualmente presente.

Sono previste clausole residuali sulle quali ci si imbatte più raramente. Potrebbe infatti accadere che la persona soggiorni abitualmente in entrambi gli Stati, ovvero non soggiorni abitualmente in alcuno di essi. In questo caso essa sarà considerata residente dello Stato del quale ha la nazionalità.

Si può quindi notare come, ai nostri fini, la cittadinanza rilevi in situazioni del tutto marginali. La tassazione su base mondiale e la compilazione del modulo RW, infatti, riguarda anche tutti i cittadini comunitari ed extracomunitari che risiedono fiscalmente nel nostro paese in base ai criteri enucleati in precedenza.

Infine, nella remota ipotesi in cui il soggetto abbia la nazionalità di entrambi gli Stati, o non abbia la nazionalità di alcuno di essi (ad esempio l’apolide), le autorità competenti degli Stati contraenti risolvono la questione di comune accordo.

In questa rarissima ipotesi dovremo quindi consultare le indicazioni sul tema fornite dalla Circolare n. 21/E del 5 giugno 2012.