3 Giugno 2016

No allo scorporo dell’Iva dai proventi istituzionali riqualificati

di Carmen MusuracaGuido Martinelli
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Con due pronunce di contenuto analogo relative alla medesima posizione ma per differenti anni d’imposta, la Cassazione stronca il riconoscimento del diritto alla detrazione e allo scorporo dell’Iva dai proventi istituzionali riqualificati come commerciali in sede di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Nel giudizio, pendente ad esito di una verifica svolta nei confronti di una associazione sportiva, infatti, la Suprema Corte, con le recenti sentenze n. 8853 e 8854 del 4 maggio 2016, offre un’interpretazione attuativa del principio di necessaria neutralità dell’imposta sul valore aggiunto che lascia fortemente dubbiosi, soprattutto in quanto appare in controtendenza rispetto a precedenti orientamenti della medesima Corte ormai pacifici e dei quali aveva ufficialmente preso atto la stessa Agenzia delle Entrate.

La lite nasce dall’opposizione presentata da parte di una associazione sportiva dilettantistica avverso un avviso di accertamento relativo all’annualità 2003 attraverso cui l’Amministrazione finanziaria contestava la natura commerciale dell’ente e delle prestazioni dallo stesso rese e, in quanto tali, le riteneva soggette agli obblighi di fatturazione e di dichiarazione ai fini Iva.

L’associazione otteneva un parziale successo in primo grado dalla CTP che, pur confermando la riqualificazione commerciale dell’ente e delle sue attività, riconosceva comunque il diritto allo scorporo dell’Iva dal totale dei ricavi e la detrazione dell’imposta sugli acquisti; mentre il Collegio di appello, oltre a respingere il gravame della contribuente, accoglieva l’appello incidentale dell’Ufficio negando entrambi i diritti.

In particolare, la Commissione Tributaria Regionale faceva leva sulla necessità, per poter detrarre l’Iva a credito, che fossero state presentate le liquidazioni periodiche ed escludeva la possibilità di scorporare l’imposta dai ricavi determinati dall’Ufficio, non essendo emerso che l’Iva a debito fosse stata inclusa nei corrispettivi percepiti.

Nel ricorso alla Suprema Corte, l’associazione invocava gli ormai noti precedenti della Corte di Giustizia e della stessa Cassazione che si erano più volte espresse in senso favorevole sul legittimo riconoscimento del diritto alla detrazione in presenza dell’avvenuto rispetto dei requisiti sostanziali necessari all’operatività del diritto stesso, consistenti nelle circostanze che gli acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’Iva attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili.

Secondo le pronunce in commento, però, gli autorevoli precedenti invocati non precludono che in altre situazioni si pervenga a esiti opposti in virtù della ridondanza sul versante sostanziale delle violazioni formali, in quanto diversa può essere la soluzione se la violazione di tali requisiti formali abbia l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali.

Nell’ipotesi in esame, infatti, secondo la Corte, “La circostanza che non sempre i corrispettivi riportati nelle schede d’iscrizione – unici documenti dai quali emergeva il compimento di tali operazioni imponibili – sono stati versati, unitamente a quella, acclarata in sentenza, concernente l’omissione dell’opzione “…che prevede l’installazione del misuratore fiscale necessario all’obbligo di certificazione dei corrispettivi derivanti dai contratti di iscrizione“, evidenziano incontrovertibilmente ostacoli insormontabili all’attività di controllo dell’ufficio, in considerazione, per un verso, del fatto che il pagamento del corrispettivo costituisce presupposto di esigibilità dell’imposta e, per altro verso, che il diritto di detrazione sorge giustappunto nel momento in cui l’imposta diventa esigibile”.

Unitamente al diniego del diritto alla detrazione dell’Iva sulle fatture di acquisto, la Cassazione convalida anche il diniego espresso dalla CTR in merito al riconoscimento dello scorporo dell’Iva sui corrispettivi riportati a tassazione.

“Si legge, difatti, in sentenza che dall’esame delle schede contabili – “Registro IVA dei corrispettivi” – è emerso che gli incassi dell’Associazione erano “esclusa IVA“, il che esclude che l’importo dell’imposta sia stato incorporato nel prezzo delle operazioni specifiche a valle, ossia nel prezzo dei beni o dei servizi forniti dal soggetto passivo nell’ambito delle sue attività economiche.

A dispetto di quel che sostiene la contribuente col suo quarto motivo, dunque, è giustappunto la caratteristica di neutralità dell’Iva ad escludere la fondatezza della sua censura: il regime dell’Iva è difatti volto a sollevare interamente l’imprenditore dall’onere dell’imposta dovuta o versata nell’ambito di tutte le sue attività economiche, al fine di garantire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’Iva. Qualora l’Iva non sia stata applicata, dunque, essa non può essere scorporata”.

Ad avviso di chi scrive, invece, proprio il pieno rispetto del principio di neutralità dell’Iva generebbe la necessità che questa venga scorporata e non aggiunta al valore dei corrispettivi considerati imponibili, in quanto, diversamente, all’associazione contribuente, che solo in sede di accertamento viene riqualificata come soggetto passivo d’imposta, viene di fatto impedito il diritto all’esercizio della rivalsa sul consumatore finale fruitore dei servizi offerti e le viene richiesto, invece, il pagamento di un imposta che la stessa non ha mai materialmente incassato, rimanendo così illegittimamente soggetto gravato dall’Iva.

Fermo restando ciò, quello che preoccupa maggiormente è la chiosa posta dalla Cassazione alle pronunce in commento: “In questo contesto, la buona fede invocata a proposito della configurazione dell’associazione come ente privato dilettantistico è del tutto irrilevante”.