31 Ottobre 2015

Niente delibera preventiva? Non si deduce il compenso dell’amministratore

di Comitato di redazione
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Spesso capita, purtroppo, che vengano erogati compensi agli amministratori senza che sia stata correttamente assunta una decisione in assemblea o nelle altre forme concesse dallo statuto societario; ciò si verifica con frequenza elevata nelle società a ristretta base partecipativa, all’interno delle quali le decisioni sono assunte con un confronto informale e verbale quotidiano.

Tali comportamenti, che non vengono percepiti come patologici dagli operatori, saranno poi cristallizzati e ratificati dall’assemblea di approvazione del bilancio; questa risulta essere, generalmente, la sensazione che si percepisce discutendo di tali problematiche.

La differenza appare evidente: assenza della decisione preventiva e presenza di una ratifica successiva, senza che nessuno abbia a lamentarsi di quanto già pagato.

Cosa accade, sul versante fiscale, ove l’Agenzia delle entrate riscontri l’assenza di tale decisione preventiva?

La riflessione ci è stata stimolata dalla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 21953/2015, chiamata a valutare la correttezza della decisione della CTR Toscana, che aveva annullato un avviso di accertamento dell’Agenzia delle entrate teso a disconoscere la deduzione del compenso, proprio per assenza della assemblea preventiva.

Nel ricorso per Cassazione, invece, l’Amministrazione finanziaria, richiamando anche il precedente della Corte di Cassazione n. 21933/2008, richiede la censura della pronuncia in quanto la decisione dell’assemblea (di approvazione del bilancio) che ratifica un compenso già erogato sarebbe invalida.

I giudici di Corte di Cassazione si allineano al consolidato orientamento, ritenendo viziata la decisione dei soci e, per conseguenza, riconoscendo l’assenza di una previsione di compenso.

In particolare, si è affermato che:

  • … debbono essere sanzionati con la invalidità gli atti degli organi societari diversi dalla delibera della assemblea, così come la delibera assembleare assunta in modo difforme dalla previsione dell’articolo 2389 codice civile, in quanto avente ad oggetto questioni estranee alla attribuzione dei compensi agli amministratori, come nel caso di specie, in cui la liquidazione delle somme da erogare agli amministratori sia meramente indicata in una delle voci di spesa del bilancio di chiusura esercizio presentato alla approvazione dell’assemblea;
  • … è pertanto evidente che la violazione dell’articolo 2389 codice civile, sul piano civilistico, dà luogo a nullità degli atti di autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori per violazione di norma imperativa, nullità che, per il principio stabilito dall’articolo 1423 codice civile, non è suscettibile di convalida, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente;
  • … la oggettiva distinzione della delibera assembleare di determinazione dei compensi rispetto a quella di approvazione di bilancio trova, peraltro, diretto riscontro nell’articolo 2364 codice civile che contempla separatamente, rispettivamente al n. l) ed al n. 3), le due distinte materie riservate alla competenza esclusiva della assemblea ordinaria dei soci.

Si aggiunge anche, e ciò ci pare importante, che “è incontestato che, nel caso di specie, non è stata fornita prova alcuna che in sede di convocazione dell’assemblea dei soci v s.r.l., indetta per l’approvazione del bilancio esercizio 2003, fosse stato specificamente inserito tra gli oggetti posti all’ordine del giorno anche la determinazione del compenso da liquidare agli amministratori o che tale questione fosse stata, comunque, espressamente discussa in un’assemblea che prevedeva la partecipazione totalitaria dei soci. Pertanto, la delibera deve ritenersi, pertanto, affetta da nullità in “parte qua.

L’importanza della precisazione appare evidente come possibile via di fuga dal problema in analisi, laddove ci si avveda della dimenticanza della preventiva decisione.

Precisa poi la Cassazione che, diversamente da quanto sostenuto dall’Agenzia delle entrate nel proprio ricorso, la violazione della norma civilistica non determina affatto il prodursi automatico di un abuso sul versante fiscale; invece, si tratta di comprendere se, in mancanza della fissazione del compenso durante l’esercizio, si possa riscontrare a carico della voce di costo il carattere di certezza nell’esistenza ed oggettiva determinabilità dell’ammontare.

Nello specifico, “ove alla chiusura dell’esercizio di competenza non sia ancora possibile quantificare l’importo dovuto a fronte della prestazione ricevuta, la deduzione dal reddito potrà essere differita al successivo esercizio in cui l’ammontare del costo venga ad essere esattamente definito, dovendo precisarsi al riguardo che la “indeterminabilità” delle componenti negative del reddito d’impresa, non può dipendere da mere scelte rimesse alle parti e non può quindi ravvisarsi per il solo fatto che il creditore del contribuente non abbia quantificato la propria pretesa (ma questa sia comunque agevolmente determinabile secondo i criteri legali o contrattali) ovvero non abbia emesso la fattura per le prestazioni erogate, ma solo quando tale quantificazione risulti impedita da circostanze obiettive. Orbene la determinazione del compenso/corrispettivo per lo svolgimento di incarichi di amministrazione nella società di capitali, nel caso in cui non sia prestabilita nell’atto costitutivo ovvero in apposita delibera dell’assemblea, non può evidentemente essere compiuta unilateralmente dal creditore, ma richiede necessariamente – in base a norma imperativa – il consenso manifestato dalla società mediante una formale deliberazione dell’assemblea dei soci, essendo irrilevante al riguardo il ”fatto compiuto” della appostazione in bilancio degli importi fatturati, atteso il vizio di nullità insanabile del consenso sul quantum del compenso prestato con la delibera assembleare di approvazione del bilancio, non conforme alla prescrizione dell’art. 2389 c.c.”.

Ci sembra, allora, che si sia compiuto un passo in avanti rispetto a precedenti approdi sul tema; non si tratta più di dire in modo semplicistico che, in assenza di delibera, il compenso risulti indeducibile, piuttosto di correggere il tiro affermando che la deducibilità del compenso esiste, sia pure in un esercizio differente da quello di materiale erogazione.

Sembra di avere affermato in controsenso: da un lato il Tuir regola la deduzione del compenso degli amministratori con il criterio di cassa, mentre per altro verso l’assenza della delibera che quantifichi in modo esatto il diritto alla percezione delle somme, renderebbe indeducibile (temporalmente) il medesimo elemento di costo.

Si deve giungere a concludere che non basta la materiale erogazione ma si debba attendere la certezza che quanto pagato non possa essere in alcun modo richiesto in restituzione.

In sostanza, dal tema della indeducibilità assoluta del compenso, il tema si sposta sulla deduzione in un differente periodo di imposta.