9 Maggio 2014

Nell’avviso di accertamento devono essere indicati gli estremi della notizia di reato per invocare il raddoppio dei termini

di Luigi Ferrajoli
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Senza la comunicazione della notizia di reato, l’Ufficio non può usufruire del raddoppio dei termini per l’accertamento: è quanto statuito dalla Commissione tributaria regionale di Roma con la sentenza n. 1529/1/2014.

Nel caso in esame, l’Agenzia delle entrate, Direzione Provinciale di Roma, aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di una società, notificato in data 04 ottobre 2011 e concernente l’anno di imposta 2003, nel quale era stato disconosciuto un credito Iva, ritenuto illecito in quanto originato da un contratto di compravendita asseritamente fittizio e posto in essere al solo fine di procurare un indebito vantaggio fiscale alla società acquirente.

La società contribuente aveva proposto ricorso avverso l’atto impositivo, eccependo tra l’altro l’intervenuta decadenza da parte dell’Ufficio dal potere di accertamento nei propri confronti, poiché la notifica dell’atto impositivo era avvenuta il 04 ottobre 2011 pur concernendo il periodo d’imposta 2003, in quanto non sarebbe stato dimostrato l’avvenuto invio della comunicazione della notizia di reato con conseguente applicazione dell’articolo 43, comma 3, D.P.R. 600/1973 e dell’articolo 57 D.P.R. 633/1972.

La Commissione tributaria provinciale aveva accolto il ricorso della contribuente, dichiarando anche l’intervenuta decadenza dei termini dell’accertamento da parte dell’Ufficio; tale pronuncia veniva impugnata dall’Agenzia delle entrate.

Con la sentenza in commento, la Commissione tributaria regionale di Roma ha affermato che l’Ufficio doveva ritenersi decaduto dai termini dell’accertamento, salvo fosse riuscito a dimostrare l’avvenuto invio della comunicazione della notitia criminis con conseguente applicazione dell’articolo 43, comma 3, D.Lgs. 600/1973.

Tale norma statuisce che, in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 Cod.Proc.Pen. per uno dei reati di cui al D.Lgs. 74/2000, è previsto il raddoppio dei termini per l’accertamento relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.

I Giudici hanno ritenuto che, nel caso di specie, l’attività di accertamento dell’Ufficio si sarebbe potuta ritenere legittima, poiché la fattispecie in esame rientrerebbe tra quelle per le quali è previsto l’obbligo di denuncia; tuttavia dagli atti è risultato che gi accertatori avevano consegnato alla società copia del pvc mentre non era reperibile alcun cenno alla comunicazione della notitia criminis.

I Giudici quindi distinguono tra pvc – atto che viene redatto a seguito dell’attività di controllo svolta dall’Amministrazione finanziaria o dalla Guardia di finanza in occasione della verifica fiscale e nel quale sono indicate le eventuali violazioni rilevate ed i relativi addebiti – e tra comunicazione di reato, che è uno strumento previsto dal Codice di Procedura Penale al fine di porre il Pubblico ministero nelle condizioni di assumere la direzione in prima persona delle indagini.

Poiché l’Agenzia delle entrate non aveva dato prova né di avere effettivamente comunicato la notizia di reato – omettendo anche la semplice indicazione degli estremi nell’avviso – né che fosse effettivamente iniziato il procedimento penale a carico della società, secondo la CTR di Roma il raddoppio dei termini era stato esercitato illegittimamente.

La disciplina del raddoppio dei termini, in presenza di fattispecie che hanno rilevanza penale-tributaria, introdotta dall’articolo 37, commi 24, 25 e 26 del D.L. 223/2006, è da tempo oggetto di pronunce, soprattutto di giudici di merito, sempre più attente nel valutare la fondatezza dell’esercizio di tale facoltà e che tendono ad limitarlo in mancanza di una prova rigorosa dell’avvenuta comunicazione della notitia criminis.

Dopo che la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 247/2011, nel confermare la legittimità, in presenza di reato, del raddoppio del termine di decadenza, ha sancito il dovere dei giudici di merito, su richiesta del contribuente, di svolgere un controllo sulla sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia per evitare un utilizzo strumentale della segnalazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, sul punto si sono espresse la CTR dell’Umbria con le sentenze n. 237/1/11 e n. 41/02/2012, la CTP di Vicenza con la sentenza n. 824/1/12 e la CTP di Ancona con la sentenza n. 102/2/13, affermando che se il reato tributario è prescritto, l’Ufficio non può usufruire del raddoppio.

Infine alcune commissioni (cfr. CTP Treviso, sentenza n. 73/5/2012 e CTP Lecco, sentenza n. 74/1/12) hanno chiarito che poiché l’Amministrazione finanziaria, proprio per consentire alle Commissioni tributarie di operare la valutazione richiesta dalla Consulta, deve produrre la comunicazione di reato, qualora questo non avvenga, non potendo verificare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, i Giudici devono dichiarare illegittimo il raddoppio dei termini.