22 Maggio 2014

Monitoraggio e patrimoniali, RW tra incroci pericolosi e scelte da effettuare

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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La nuova composizione del quadro RW e soprattutto la necessità di procedere nello stesso sia al monitoraggio fiscale che alla determinazioni delle patrimoniali IVIE e IVAFE rischia di generare non poche perplessità. Possiamo concentrare l’attenzione su alcuni aspetti fondamentali per comprendere come le diverse situazioni si incrociano, si sovrappongono e addirittura sopravanzano, tra nuove disposizioni normative, chiarimenti della circolare n. 38 del 2013, “ripescaggio” dei chiarimenti della circolare n. 28 del 2012 in materia di patrimoniali, recenti modifiche del legislatore e scelte effettuate nelle istruzioni. Un ginepraio rispetto al quale manca l’aspetto fondamentale: una bella e corposa circolare amministrativa che affronti i casi della compilazione, con tanto di modulistica. Ma questo sarebbe davvero un regalo inaspettato.

Il primo punto delicato si pone in relazione alle casistiche di esonero dal monitoraggio, sia oggettive che soggettive. Dal 2013 dobbiamo imparare a distinguere: esonero dal monitoraggio non significa esonero dal quadro RW. Pertanto ben potremmo trovarci innanzi a contribuenti che non devono “monitorare” (ad esempio, diplomatici o frontalieri, in questo secondo caso limitatamente al paese in cui effettuano l’attività lavorativa), ma che devono provvedere al pagamento dell’IVIE e/o dell’IVAFE. Questi contribuenti dovranno comunque compilare il quadro RW. Se eventualmente omettono tale prospetto, non saranno sanzionati per la violazione del monitoraggio fiscale, ma vedranno applicarsi le sanzioni collegate alle omissioni ai fini delle patrimoniali (ad esempio, per il conto corrente in un paese white list, non avverrà la sanzione nella misura del 3% dell’importo non indicato, ma sarà sanzionato l’omesso versamento di 34 euro ai fini IVAFE). L’altro caso limite è il conto corrente. I conti esonerati dal monitoraggio in forza della disposizione di accreditare gli interessi su conti italiani devono comunque pagare l’IVAFE (e dunque essere riportati in RW, salvo se con giacenza media inferiore a 5 mila euro).

Per i conti correnti in generale, inoltre, bisogna verificare il superamento dell’ammontare massimo di 10 mila euro: in questo caso si compila RW, anche se l’IVAFE non è dovuta. E se invece l’ammontare massimo non ha mai superato 10 mila euro? Allora bisogna osservare la giacenza media del conto. Se ha superato l’importo di 5 mila euro, è necessario pagare l’IVAFE e compilare RW. Se invece non supera detta giacenza, a leggere le istruzioni si giunge ad un esonero non soltanto dal pagamento, ma anche dalla compilazione del quadro RW. Un caos di non poco conto, di cui avremmo fatto volentieri a meno.

Sugli immobili interviene il cambio di rotta della relativa valorizzazione. Fino allo scorso anno si considerava, di fatto, il costo storico. Peraltro, era lunghissima la paradossale diatriba se dover ogni anno modificare il cambio degli importi in valuta (posto che le istruzioni richiamavano sempre il provvedimento recante il cambio annuale registrato nel periodo d’imposta), ovvero se ripetere sempre il medesimo importo sulla base del cambio utilizzato in sede di prima compilazione. Oggi addirittura si passa al cambio mensile del valore ad inizio anno (o inizio possesso) e fine anno (o fine possesso). Il paradosso è che pur rimanendo ancorati al costo storico, potremmo avere importi di RW di Unico 2013, rilevati al 31 dicembre 2012 (con cambio annuale del 2012), diversi dal costo storico del 1° gennaio 2013 (rilevato con cambio del gennaio 2013). Un vero mistero. Dopo di che bisogna applicare le farneticanti disposizioni IVIE, con tanto di ricerca della base imponibile estera o addirittura rideterminazione con le regole IMU italiane. Altro caos, ricordandosi inoltre che gli immobili devono essere indicati per intero, con valorizzazione della quota di possesso. Conclusioni analoghe, peraltro, si hanno per le attività finanziarie, dove valgono le regole IVAFE: insomma, bisogna farsene una ragione, i dati dello scorso anno devono essere modificati. Giusto per la cronaca, l’IVAFE è calcolata sul valore di “fine anno o fine possesso”, ossia quello indicato in colonna 8 (al che non si comprende a che serve il valore di inizio anno o possesso, salvo improbabili valorizzazioni di plus o minus valenze).

Dove però si raggiunge l’apice è in relazione alla compilazione del c.d. “titolare effettivo”. La circolare n. 38 del 2013 effettua una serie di esemplificazioni (non semplificazioni, si badi) in cui in sostanza ci dice:

  1. Bisogna considerare le “catene” partecipative. Se posseggo il 15% della partecipazione nella società A all’estero e poi posseggo il 20% di una società italiana che a sua volta possiede il 70% della società A all’estero, allora posseggo il 29% effettivo di A. In particolare, il documento di prassi evidenzia che devo indicare la quota nella misura del 29%;
  2. La necessità di monitorare gli investimenti secondo il principio del look through proprio del titolare effettivo riguarda solo le casistiche riferite alle società black list. In tal caso, concetto poi ribadito anche dalle istruzioni, piuttosto che monitorare singolarmente gli investimenti effettivi all’estero detenuti tramite la società black list, è possibile accorpare tutti gli investimenti e indicare il relativo valore complessivo, avendo cura di conservare un prospetto di sintesi da eventualmente produrre all’Agenzia delle Entrate se richiesto.

Sembra concettualmente facile. Se non che sul piano pratico i dubbi sono migliaia. Soffermiamoci sui principali. In primo luogo, come determino i valori degli investimenti detenuti dalla società black list. La domanda è: assumo i valori di bilancio degli investimenti (ad esempio, come l’immobile è contabilizzato e anche in questo caso se al lordo o al netto degli eventuali ammortamenti), oppure si deve procedere con le valorizzazioni usate ai fini IVIE? E lo stesso dicasi per gli investimenti finanziari. Sciolto tale non semplice interrogativo, ne sovviene un altro ancor più pericoloso: l’IVAFE come la liquido? Perché se ci soffermiamo solo alle indicazioni della circolare n. 38 del 2013, viene fuori un bagno di sangue. Ad esempio, potremmo avere una società con un valore nominale della partecipazione pari a 20 mila euro ed investimenti effettivi complessivi pari a 2 milioni di euro. Se si indica tutto insieme, è evidente che l’IVAFE risultante sarebbe mostruosa ed errata. Indi sembrerebbe necessario compilare due distinti righi, uno in cui indicare la partecipazione e liquidare l’IVAFE e l’altro in cui evidenziare il totale degli investimenti. Ma non è finita: le colonne 5 (quota di possesso dell’investimento estero) e 19 (percentuale di partecipazione nella società di cui il contribuente risulti titolare effettivo), come si compilano? Nell’esempio precedente, si è detto che detengo il 15% della società estera e poi un ulteriore 14% indiretto, tramite il 20% della società italiana che detiene il 70% della società estera. Il valore 29% deve essere riportato in colonna 5 o in colonna 19? Sembra interessata la colonna 19, ma gli esempi e le conclusioni della circolare n. 38 del 2013 potrebbero indurre alla compilazione anche della colonna 5 con il medesimo valore (infatti, il documento di prassi sottolinea che bisogna monitorare il 29% dell’investimento). Di certo però si torna al caos per l’IVAFE, che devo pagare in proporzione al 15% del valore nominale della partecipazione.

E potremmo andare avanti per un bel po’, sarebbe sufficiente pensare alle gestioni titoli, dove secondo l’amministrazione finanziaria (almeno in riferimento ad Unico 2013), era necessario compilare un rigo diverso per ogni investimento. Ci fermiamo, sperando che qualcuno si renda conto del “mostro” che è venuto fuori. E se proprio non accade nulla, che almeno si abbia il buon senso di affermare che saranno tollerati, con ampio margine, eventuali errori, senza irrogazione sanzioni (e ci mancherebbe altro…). Buon RW a tutti.