13 Aprile 2016

Lo sport ha bisogno di nuove agevolazioni fiscali? (II parte)

di Guido Martinelli
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Le norme agevolative di carattere tributario maggiormente utilizzate dal mondo dello sport dilettantistico sono la legge 398/91, che prevede la forfetizzazione del reddito sia ai fini Iva che delle imposte sul reddito, e il combinato disposto di cui all’art. 148 Tuir e art. 4 D.P.R. 633/72 e successive modificazioni, in tema di defiscalizzazione dei corrispettivi specifici versati da soci, associati o tesserati per l’organizzazione nazionale che ha provveduto al riconoscimento ai fini sportivi.

Basterebbe che queste disposizioni venissero interpretate in maniera univoca per avere un rilevante impatto deflattivo sui contenziosi in corso.

Partiamo dalla applicabilità della legge 398/91. Ad oggi (con il venir meno della sanzione di decadenza dal beneficio di applicabilità di tale norma in presenza di operazioni finanziarie non tracciate di importo superiore ai mille euro) si esce da tale regime solo in due casi. Il primo, soggettivo, nel caso venga meno in sede di accertamento la natura dell’ente senza scopo di lucro. Va chiarito che la norma di favore deve trovare comunque applicazione anche in quei casi in cui l’ente soggetto a verifica avesse, eventualmente, perso la sua natura di ente non commerciale (perché, ad esempio, sia venuta meno la natura di associazione sportiva dilettantistica e, applicando l’art. 149 Tuir, sia diventato ente commerciale) o anche di sodalizio sportivo in quanto la norma trova la sua applicazione in favore di tutti gli enti senza scopo di lucro indipendentemente dalla loro natura soggettiva (sportiva, promozione sociale, pro loco, ecc.). Il secondo caso, oggettivo, ove si superi il plafond di euro 250.000 di provento commerciale su base annua. In tal caso andrebbe ribadito che la determinazione del quantum andrà fatta adottando esclusivamente il principio di cassa.

Pertanto, anche nel caso in cui l’associazione si veda contestata la defiscalizzazione sui proventi specifici (perché ad esempio non ha recepito in statuto i parametri di cui all’art. 148 Tuir), comunque la natura dell’ente rimarrà non lucrativa con conseguente diritto di continuare ad applicare legittimamente la legge 398/91.

Trasferendoci sull’altro ambito normativo di favore citato, il combinato disposto di cui agli artt. 148 Tuir e 4 decreto Iva, si deve partire necessariamente da un presupposto, spesso disconosciuto al mondo sportivo. Di diritto la defiscalizzazione sui corrispettivi specifici non trova applicazione nei confronti delle sportive.

La possibilità di utilizzare la norma agevolativa deriva da due presupposti ulteriori, la cui presenza non è indispensabile al riconoscimento di una società o associazione sportiva dilettantistica.

Il primo è legato alla costituzione per atto pubblico, scrittura privata autenticata o registrata (ricordiamo che il comma 17 dell’art. 90 l. 289/02 prevede esclusivamente l’atto “scritto” come requisito per l’esistenza dell’ente) ed il secondo connesso al recepimento in statuto dei principi obbligatori contenuti nelle citate norme. Principi in alcuni casi uguali a quelli già elencati nel comma 18 del citato articolo 90 (e quindi presumibilmente già presenti nello statuto), ma in altri (tipo l’incedibilità delle quote o il divieto di rivalutazione delle stesse) sicuramente diversi e ulteriori.

Chiariti i presupposti applicativi deve, però, essere chiaro che la norma deve essere letta con criteri evolutivi. Ad esempio, la non rivalutabilità della quota associativa è principio connesso all’assenza di scopo di lucro e, pertanto, l’eventuale assenza del vincolo in termini letterali non significa mancato rispetto della disciplina legislativa in esame. Pertanto, la lettura degli statuti, al fine di verificare la corrispondenza ai principi legislativi delle due norme di favore ora in esame, non può e non deve limitarsi al tenore letterale delle stesse ma deve verificare, anche indirettamente, la sussistenza dei principi richiesti dal legislatore. Assodato ciò non vi è dubbio che l’assenza dei presupposti statutari richiesti dal legislatore produce il venir meno della agevolazione sia ai fini iva che delle imposte sui redditi.

Se, ai fini dei redditi, la conseguenza per le sportive potrebbe essere relativa, assai più gravoso il problema si pone per l’Iva.

Infatti qui si manifestano due questioni, l’una ormai risolta e l’altra sulla quale si auspica una sollecita presa di posizione da parte della Agenzia delle entrate. La possibilità di applicare, anche in assenza di scritture contabili, la rivalsa dell’Iva pagata sugli acquisti relativi all’attività commerciale è un comportamento ormai diventato prassi da parte dell’Amministrazione.

Il problema diventa conflittuale, invece, nella determinazione dell’Iva sulle vendite. Infatti, in sede di accertamento l’imposta viene calcolata in aggiunta all’importo indicato come corrispettivo dei corsi che l’ente aveva indicato come istituzionali e che sono stati riclassificati come commerciali.

Ma, così operando, si calcola una imposta che il contribuente non ha mai incassato e si fa decadere il principio di neutralità dell’Iva.

A mio avviso, la determinazione corretta dell’imposta potrà avvenire solo scorporandola dall’importo lordo riclassificato come commerciale in sede di accertamento.

Poche indicazioni che ove venissero recepite, consentirebbero di definire la maggior parte dei contenziosi in essere.