9 Dicembre 2014

Limiti allo sdoppiamento dell’operazione intra-UE con clienti non VIES

di Marco Peirolo
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Nei rapporti commerciali intrattenuti con altri Paesi membri dell’Unione europea può accadere che i clienti non residenti, pur essendo dotati di un codice di identificazione fiscale, non siano iscritti all’archivio VIES e non intendano neppure provvedere alla relativa registrazione.

Per esemplificare, si consideri l’impresa manifatturiera che vende capi di abbigliamento ad alcuni negozi spagnoli, dotati di codice identificativo fiscale (NIF), ma non di numero di partita IVA (NIF-IVA, cioè codice identificativo fiscale di nove caratteri preceduti dal prefisso ES), che si ottiene solo con l’iscrizione nel registro degli operatori intracomunitari (ROI).

Per evitare l’applicazione dell’imposta in Italia, di regola dovuta quando il suddetto codice identificativo non trova riscontro a seguito di consultazione nella banca dati VIES (cfr. Corte di giustizia 9 ottobre 2014, causa C-492/13), si potrebbe ipotizzare l’apertura di una posizione IVA, da parte del fornitore nazionale, nello specifico Paese membro interessato.

L’obiettivo, dunque, è quello di assoggettare le vendite all’IVA locale, che per i clienti è detraibile.

A tal fine, occorre considerare distintamente il trattamento impositivo:

  • da un lato, della movimentazione della merce dal Paese di origine a quello di destinazione, vale a dire dalla partita IVA italiana a quella comunitaria del fornitore nazionale, e
  • dall’altro, della vendita.

Riguardo al primo aspetto, attraverso l’identificazione diretta o la nomina di un rappresentante fiscale, il fornitore italiano, per i beni trasportati/spediti in altro Paese membro, effettua un trasferimento a “se stesso”, assimilato ad una cessione intracomunitaria, non imponibile IVA ai sensi dell’art. 41, comma 2, lett. c), del D.L. n. 331/1993, con il corrispondente acquisto intracomunitario, assoggettato a IVA da parte della posizione IVA locale.

A questo punto, per individuare il regime IVA della vendita occorre stabilire se il Paese membro considerato ha previsto l’obbligo di reverse charge per le cessioni di beni ivi territorialmente rilevanti. La circostanza che il cliente non sia iscritto al VIES non costituisce, invece, un ostacolo all’applicazione dell’inversione contabile quando l’operazione non è intracomunitaria, ma interna (come si verifica nel caso esaminato, in cui la cessione ha per oggetto i beni già presenti nel Paese di destinazione).

Laddove il reverse charge sia obbligatorio, come accade in Spagna, l’IVA è dovuta dal cliente, mentre il fornitore italiano (e non la sua partita IVA locale) deve emettere fattura non soggetta a IVA ai sensi dell’art. 21, comma 6-bis, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 con la dicitura “inversione contabile” e con l’eventuale specificazione della norma comunitaria o nazionale di riferimento.

Se, invece, il reverse charge non è ammesso, è la posizione IVA locale del fornitore che deve emettere fattura con l’addebito della relativa imposta.

In ogni caso, affinché la procedura descritta, volta ad evitare l’applicazione dell’IVA italiana, sia percorribile, è necessario stabilire se lo sdoppiamento dell’operazione in un trasferimento a “se stessi” con successiva vendita interna sia consentito solo quando l’effetto traslativo della proprietà nei confronti del cliente si verifica dopo che la merce è giunta nel Paese membro di destinazione, per esempio a seguito di deposito in un magazzino del fornitore nazionale. In questa ipotesi, infatti, le esigenze commerciali che impongono di evitare l’addebito dell’IVA italiana potrebbero non giustificare i costi di gestione del deposito.

Dal punto di vista nazionale, il limite in esame è stato opportunamente puntualizzato dall’Amministrazione finanziaria. Secondo la C.M. 23 febbraio 1994, n. 13-VII-15-464 (§ B.8), “l’obbligo di avvalersi del rappresentante fiscale, ancorché già nominato per altre operazioni, non sussiste nelle ipotesi in cui, sia per le cessioni che per le prestazioni, l’operazione venga posta in essere direttamente tra l’operatore comunitario e quello nazionale; più in particolare, non si rende necessaria l’utilizzazione o la nomina del rappresentante fiscale quando le operazioni sono direttamente qualificabili come acquisti o cessioni intracomunitari tra le parti contraenti (ivi comprese le operazioni triangolari), ovvero quando per le prestazioni di servizi rese dal soggetto appartenente all’altro Stato membro l’imposta non è da questi dovuta”.

La stessa limitazione, confermata dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 19 novembre 2008, n. 447 (§ 1), era stata precedentemente disattesa dalla risoluzione n. 4 del 9 gennaio 2003, la quale ha consentito ad un soggetto di altro Stato membro di poter effettuare cessioni intracomunitarie nei confronti del proprio rappresentante fiscale in Italia, il quale procedeva, da un lato, ad effettuare l’acquisto intracomunitario in Italia e, dall’altro, ad effettuare cessioni interne con addebito dell’IVA nei confronti dei propri clienti soggetti d’imposta nazionali, a nulla rilevando la circostanza che i beni vengano inviati direttamente al cliente finale.

Da ultimo, la libertà di scelta della posizione IVA locale è stata ammessa dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 6 maggio 2009, n. 123, ma con l’avvertenza che, “in sede di controllo si potrà addivenire ad una diversa qualificazione delle operazioni descritte qualora gli uffici, sulla base dell’esame degli specifici elementi di fatto dovessero riscontrare che le modalità operative abbiano come unico intento quello di procurarsi un indebito vantaggio fiscale”.