29 Dicembre 2015

Le quote dei corsi sportivi: esenti o escluse da Iva? (I prima)

di Guido Martinelli
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La disciplina, ai fini della imposta sul valore aggiunto, dei corrispettivi riscossi da associazioni o società sportive dilettantistiche per prestazioni di servizi (leggasi, ad esempio, i ricavi dei corsi e gli ingressi negli impianti) ha trovato, nel nostro sistema tributario, collocazione all’art. 4 del d.p.r. 633/72 laddove si afferma il principio generale della loro assoggettabilità all’imposta salvo che lo statuto dell’ente preveda clausole espressamente riportate nella norma citata e le prestazioni siano rese in favore di soggetti che godano di uno status prestabilito (associati dell’ente organizzatore o tesserati per la stessa organizzazione nazionale di riferimento). In tal caso l’imposta non si applica in quanto si considerano “escluse” dallo svolgimento di attività commerciali.

Per capire l’inquadramento offerto dal legislatore domestico non possiamo evitare di esaminare le disposizioni comunitarie.

L’art. 132, par. 1, lett. m), della Direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, riguarda le “prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica, fornite da organismi senza fini di lucro alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica”. L’agevolazione, che riprende quella contenuta nell’art. 13, parte A, par. 1, lett. m), dell’abrogata VI Direttiva, è diretta alla pratica dello sport e dell’educazione fisica in generale e non esige, per la sua applicabilità, che l’attività sportiva sia praticata ad un determinato livello, per esempio, a livello professionale, o secondo determinate modalità, per esempio in modo sistematico, organizzato o finalizzato a partecipare a competizioni sportive. L’esenzione, in definitiva, intende favorire talune attività di interesse generale, vale a dire servizi direttamente collegati con la pratica sportiva o con l’educazione fisica, prestati da enti senza fini di lucro a soggetti praticanti lo sport o l’educazione fisica.

Il nostro legislatore ha omesso di recepire la lett. m) sopra citata, optando per l’applicazione di una clausola di esclusione in favore di determinati soggetti. La Corte di Giustizia, con la sentenza relativa alla causa C-495/12 del 19 dicembre 2013 ha fatto desumere l’illegittimità dell’art. 4, comma 4, secondo periodo, del D.P.R. n. 633/1972, nella parte in cui esclude la soggettività passiva dell’ente associativo a condizione che le prestazioni siano rese a favore dei propri iscritti o di quelli iscritti ad associazioni facenti parte della medesima organizzazione locale o nazionale.

La normativa comunitaria  prosegue individuando tra le operazioni che gli Stati membri esentano dall’IVA, alla lettera i) “l’educazione dell’infanzia o della gioventù, l’insegnamento scolastico o universitario, la formazione o la riqualificazione professionale, nonché le prestazioni di servizi e le cessioni di beni con essi strettamente connesse, effettuate da enti di diritto pubblico aventi lo stesso scopo o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi finalità simili”.

In forza di questa disposizione, il nostro ordinamento, all’art.10, n.20 del DPR 633/72, ha previsto l’esenzione dall’IVA per “le prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da ONLUS (…)”.  La citata disposizione subordina il beneficio dell’esenzione al verificarsi dei seguenti presupposti, uno di carattere oggettivo e l’altro soggettivo: a) le prestazioni devono essere di natura educativa dell’infanzia e della gioventù o didattica; b) le prestazioni in argomento devono essere rese da istituti o scuole riconosciute da pubbliche amministrazioni. Il legislatore ha voluto riconoscere l’esenzione Iva non a tutti i soggetti che svolgono attività didattica, ma esclusivamente a quei soggetti che sulla base dei requisiti posseduti (quali l’idoneità professionale dei docenti, l’efficienza delle strutture e del materiale didattico, ecc.), sono in grado di offrire prestazioni didattiche aventi finalità simili a quelle erogate dagli organismi di diritto pubblico.  Pertanto, ai fini dell’esenzione Iva, è necessario avere un “riconoscimento” che permetta ai soggetti che svolgono attività didattica di certificare la qualità dei servizi resi. Al riferimento contenuto dalla norma agli “istituti o scuole” deve essere attribuito valore meramente descrittivo e non il significato di un’elencazione tassativa di soggetti ammessi ad usufruire del regime d’esenzione. In altri termini, il legislatore, individuando i soggetti beneficiari in istituti o scuole, ha, in realtà, racchiuso in questi due termini anche altre tipologie di strutture preposte all’insegnamento e alla formazione professionale; pertanto, in linea di principio, anche le associazioni e società sportive dilettantistiche possono essere tra i soggetti beneficiari della norma. Il principale problema interpretativo riguarda le modalità del riconoscimento e i soggetti competenti al rilascio di tale riconoscimento.