12 Marzo 2015

Le partecipazioni in cerca di un valore: quadro RW e disclosure

di Ennio VialVita Pozzi
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La questione del valore da indicare per le partecipazioni estere torna nuovamente di scena a partire dal modello Unico 2015, in quanto l’art. 9 della Legge europea 2013-bis (L. n. 161/2014) ha abolito l’IVAFE sulle partecipazioni.

Il fatto che l’IVAFE non sia più dovuta sulle partecipazioni sembra far riemergere la necessità di utilizzarne il costo storico e, in mancanza, il valore corrente, dal momento che non si può propriamente parlare di un “valore ai fini IVAFE”.

Ebbene, appare invece ragionevole proseguire con l’applicazione del criterio utilizzato nell’anno precedente e che, quindi, per i titoli non quotati si debba utilizzare il valore nominale.

Ciò in quanto:

  • la Circolare n. 38/E/2013, al punto 1.4.1 continua, per forza di cose, a far riferimento ai valori dell’IVAFE;
  • è opportuno evitare eccessive complicazioni.

La questione non è tuttavia di poco conto, in quanto l’indicazione di un valore minore rispetto al dovuto potrebbe portare all’irrogazione di sanzioni.

Sul punto, peraltro, sarebbe utile un intervento chiarificatore da parte dell’Amministrazione.

Il valore delle partecipazioni emerge, inoltre, anche in ipotesi di presentazione della dichiarazione di richiesta di accesso alla procedura di collaborazione volontaria (articolo 1, commi 1 e 2, Legge n. 186/2014).

Nella sezione II, nei righi che vanno dal VD5 al VD14 (dal 2004 al 2013) deve essere indicata la consistenza del patrimonio detenuto all’estero in violazione della disciplina sul monitoraggio fiscale relativamente a tutti i periodi d’imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta, non sono scaduti i termini per l’accertamento o per la contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’art. 4, comma 1 del D.L. n. 167/1990, tenendo conto anche del raddoppio dei termini previsto dall’art. 12, comma 2-ter del D.L. n. 78/2009.

Le istruzioni chiariscono che nei suddetti righi, in relazione a ciascun periodo di imposta, bisogna indicare l’importo complessivo detenuto all’estero in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale.

Le istruzioni precisano inoltre che ai fini dell’individuazione del valore delle attività estere da dichiarare in tali righi, si rinvia ai criteri individuati nelle istruzioni per la compilazione del quadro RW di Unico relative a ciascun periodo di imposta interessato, tenendo conto della previsione di cui al comma 9 dell’art. 5-quinquies del D.L. n. 167/1990.

Ebbene, le regole sono variate nel corso degli anni in modo significativo. A partire dall’anno 2013 (Unico 2014) si è iniziato ad usare il criterio del valore nominale (in sostanza lo stesso previsto ai fini dell’IVAFE), mentre in precedenza il criterio cui fare riferimento era, in sostanza, quello del costo storico.

I primi chiarimenti puntuali sul tema sono giunti con la C.M. n. 45/E/2010 dove viene precisato che “con riferimento all’importo da indicare nella colonna 3 della Sezione II, il contribuente deve riportare il costo storico dell’attività finanziaria o dell’investimento come risultante dalla relativa documentazione probatoria, maggiorato degli eventuali oneri accessori quali, ad esempio, le spese notarili e gli oneri di intermediazione, ad esclusione degli interessi passivi”.

Viene inoltre chiarito che il costo storico va indicato per intero, indipendentemente dall’eventuale finanziamento richiesto per l’acquisto del bene.

Qualora l’acquisto estero non sia stato effettuato mediante pagamento di un corrispettivo in denaro (per esempio in caso di conferimento, acquisto per donazione o successione, permuta) ai fini dell’individuazione del costo si deve fare riferimento alle specifiche disposizioni contenute nel Tuir che individuano il costo fiscalmente riconosciuto in tali occasioni. Ad esempio, per un immobile acquisito per donazione, deve essere indicato come costo il prezzo di acquisto o di costruzione sostenuto dal donante; per i titoli azionari o obbligazionari ricevuti per successione deve essere indicato il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione e per i titoli esenti da tale imposta, il valore normale alla data di apertura della successione.

All’epoca la C.M. n. 45/E/2010 chiarì che “qualora il costo di acquisto non sia documentabile, si deve riportare il valore normale del bene eventualmente risultante da un’apposita perizia di stima”.

Come si può notare le differenze sono significative.

Generalmente il vecchio criterio comporta l’obbligo di segnalare un valore maggiore. Si pensi al caso di una società estera con un capitale versato di 20.000 euro. Il contribuente deve indicare 20 mila euro sia in base alle vecchie che alle nuove regole.

Supponiamo, invece, che il capitale sia stato azzerato per perdite e riversato. Con le nuove regole indicheremo sempre il valore nominale di 20 mila mentre con le vecchie avremmo dovuto indicare 40 mila euro ossia la somma degli apporti.