24 Marzo 2016

LBO legittimo con il cambio dell’assetto societario

di Fabio Landuzzi
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L’operazione di leveraged buy out (Lbo), tipizzata dall’art. 2501-bis, c.c., non è elusiva quando al termine della articolata procedura si realizza un cambiamento della compagine sociale di riferimento. Questo il principio che si può trarre dalla sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, n. 9999 del 10 dicembre 2015.

L’Amministrazione finanziaria aveva infatti contestato la natura elusiva di un’operazione tipica di Lbo ritenendola sprovvista di valide ragioni economiche che fossero diverse dal perseguimento di un vantaggio fiscale che, a sua volta, sarebbe stato rappresentato dalla imputazione del costo per interessi riferiti al finanziamento contratto dalla società veicolo per l’acquisto delle partecipazioni nella società target, imputazione che sarebbe stata appunto consentita per mezzo della fusione fra le due società: il veicolo (indebitato) e la target.

Riguardo alla legittimità civilistica dell’operazione, nel rispetto delle condizioni e della procedura prevista dall’art. 2501-bis, c.c., si è espresso di recente il Tribunale di Milano, sez. Civile, sentenza n. 9440/2015, affrontando un caso più complesso relativo ad una situazione di crisi di impresa; nell’occasione, il Tribunale civile ha ribadito che detta operazione non può ritenersi compiuta in frode ai creditori sociali anche quando il controllo della società fosse preesistito al compimento dell’operazione stessa.

Sotto il profilo fiscale, i Giudici milanesi, nella sopra citata sentenza, hanno dapprima sottolineato come l’interesse del Legislatore rispetto alla norma in oggetto si riferisca alla esigenza di disciplinare l’operazione di acquisto della partecipazione di controllo mediante uno schema che consente all’acquirente di non assumere in modo diretto l’obbligazione di rimborso del debito contratto per l’acquisto stesso, bensì di porre al servizio dell’adempimento di tale impegno i flussi di casa prodotti dalla società target, ed a tale scopo realizzando la fusione fra quest’ultima e la società acquirente.

Il fatto che l’operazione abbia di riflesso determinato un potenziale beneficio fiscale dato dalla deduzione del costo per interessi dal risultato imponibile della società target post fusione, non è di per sé un elemento sufficiente ad affermare il carattere abusivo dell’operazione stessa; per fare ciò, infatti, occorre che emerga l’assenza di ragioni che ne giustifichino il compimento, ragioni che devono essere però ricercate non solo nella limitata prospettiva dei benefici economici diretti, bensì anche sul piano della “organizzazione aziendale, degli assetti proprietari e societari dell’impresa”.

Ebbene, nel caso trattato dalla CTP di Milano, era dimostrato che in esito dell’operazione di fusione si era determinato un mutamento nell’assetto di controllo della società target. Ed il fatto che fra i soci di detta società fossero rimasti, in quota di minoranza, anche soggetti già presenti anteriormente all’operazione, non è di per sé un fattore rilevante o addirittura tale da ridurre ad una funzione marginale il concreto mutamento intervenuto nell’assetto proprietario in esito della articolata operazione.

Pertanto, questa circostanza è stata di per sé valutata come una giustificazione economica dell’operazione di fusione, a nulla rilevando che un risultato simile, ma non uguale, avrebbe potuto essere forse conseguito, a giudizio dell’Amministrazione, ricorrendo a modalità di acquisizione differenti e fiscalmente (forse) più onerose.