21 Luglio 2014

Lavorazioni extra-UE a rischio di doppia imposizione ai fini Iva

di Marco Peirolo
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In caso di lavorazione in Paesi extra-UE di beni che restano di proprietà dell’impresa italiana, si pone il problema dell’eventuale doppia imposizione della prestazione di lavorazione, in sede cioè sia di reimportazione dei beni lavorati in Italia, sia di autofatturazione della prestazione del terzista non residente; quest’ultima, infatti, siccome “generica” (ex art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972), è territorialmente rilevante in Italia (Paese del committente).

L’invio all’estero dei beni può essere effettuato ricorrendo all’esportazione temporanea, oppure all’esportazione definitiva senza passaggio della proprietà.

In entrambi i casi, con la reimportazione dei beni ottenuti dalla lavorazione, l’operatore italiano effettua un’importazione, soggetta a IVA ai sensi dell’art. 67, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, che richiama “le operazioni di reimportazione a scarico di esportazione temporanea fuori della Comunità economica europea e quelle di reintroduzione di beni precedentemente esportati fuori della Comunità medesima”.

Ai fini, tuttavia, della determinazione della base imponibile dell’IVA all’importazione, nell’ipotesi di:

  • esportazione definitiva, si applicano i criteri previsti dall’art. 69, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 per le operazioni di immissione in libera pratica, sicché l’imposta è dovuta sul “valore dei beni importati determinato ai sensi delle disposizioni in materia doganale, aumentato dell’ammontare dei diritti doganali dovuti, ad eccezione dell’imposta sul valore aggiunto, nonché dell’ammontare delle spese di inoltro fino al luogo di destinazione all’interno del territorio della Comunità che figura sul documento di trasporto sotto la cui scorta i beni sono introdotti nel territorio medesimo”;
  • esportazione temporanea, l’art. 69, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 dispone che l’imposta è dovuta sul maggiore valore assunto dai beni in dipendenza della lavorazione prestata in territorio extracomunitario, alla duplice condizione che:
  1. la
    reimportazione sia effettuata dallo
    stesso operatore che ha esportato i beni o da un terzo per suo conto;
  2. lo
    scarico della temporanea esportazione avvenga “
    per identità” e non “
    per equivalenza”. Di conseguenza, in caso di cessione ad altro operatore italiano prima della reimportazione, la base imponibile si calcola sul “
    valore pieno” dei beni, vale a dire sul corrispettivo indicato nella fattura di vendita in possesso dell’operatore che effettua la reimportazione (R.M. 7 febbraio 1989, n. 4029/IX).

Dunque, per i beni temporaneamente esportati, non sempre la successiva reimportazione è soggetta a IVA sul solo maggiore valore assunto dalla merce a seguito della lavorazione, quando invece l’art. 88 della Direttiva n. 2006/112/CE esige che il trattamento IVA dei beni lavorati sia identico a quello applicabile se la lavorazione fosse stata effettuata all’interno dello Stato UE interessato (nella specie, in Italia). La norma citata, infatti, dispone che, “per i beni che sono stati esportati temporaneamente all’esterno della Comunità e che sono reimportati dopo aver formato oggetto, all’esterno della Comunità, di riparazione, trasformazione, adattamento, esecuzione ed altre prestazioni di lavorazione od opera, gli Stati membri prendono provvedimenti per garantire che il trattamento fiscale riservato ai beni ottenuti, per quanto concerne l’IVA, sia lo stesso che sarebbe stato riservato ai beni in questione se dette operazioni fossero state eseguite nel loro territorio”.

Allo stesso tempo, sempre sul piano comunitario, l’art. 144 della Direttiva n. 2006/112/CE dispone che “gli Stati membri esentano le prestazioni di servizi connesse con l’importazione di beni il cui valore è compreso nella base imponibile (…)”. La norma, in proposito, richiama l’art. 86, par. 1, lett. b), della stessa Direttiva, che fa riferimento esclusivamente alle “spese accessorie quali le spese di commissione, di imballaggio, di trasporto e di assicurazione, che sopravvengono fino al primo luogo di destinazione dei beni nel territorio dello Stato membro d’importazione, nonché quelle risultanti dal trasporto verso un altro luogo di destinazione situato nella Comunità, qualora quest’ultimo sia noto nel momento in cui si verifica il fatto generatore dell’imposta” (si ricorda che la Commissione europea, con memo 20 novembre 2013, n. 13/1005, ha richiesto all’Italia di riesaminare la disciplina delle spese accessorie riguardanti i beni oggetto di importazione).

Tale norma, non richiamando espressamente le lavorazioni, parrebbe non giustificare la detassazione, in sede di autofatturazione, della prestazione resa dal terzista estero se i beni lavorati sono stati assoggettati all’IVA all’importazione sul loro “valore pieno”.

L’effetto distorsivo, cioè la doppia tassazione della lavorazione, può essere tuttavia evitato – in caso sia di temporanea esportazione che di esportazione definitiva – ricorrendo alle indicazioni fornite dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate 29 luglio 2011, n. 37 (§ 5.1), ossia distinguendo a seconda che l’autofattura sia emessa anteriormente o successivamente alla reimportazione; sul punto, è dato osservare che il riferimento, da parte della circolare, all’integrazione della fattura ricevuta dall’operatore italiano è “irrilevante” siccome il reverse charge sulla lavorazione resa dal terzista stabilito al di fuori della UE si effettua con la procedura di autofatturazione.

In buona sostanza, la dogana non applicherà l’IVA all’importazione solo se l’impresa nazionale dimostra di avere già assoggettato ad imposta la lavorazione.