29 Aprile 2015

L’attività “decommercializzata” degli enti non commerciali

di Guido Martinelli
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La rubrica settimanale del terzo settore sta esaminando i proventi degli enti non profit. Si è parlato dell’organizzazione di lotterie, tombole e pesche di beneficienza, di prestazioni di servizi rese agli associati  e di attività commerciale: oggi si analizza l’attività decommercializzata.

 


Il comma 3 dell’art. 143 del TUIR disciplina due fattispecie di attività i cui proventi non concorrono alla formazione del reddito imponibile degli enti non commerciali.

In particolare, ai sensi dell’art. 143, comma 3 lett. a) del TUIR: non concorrono in ogni caso alla formazione del reddito degli enti non commerciali, sono esclusi dall’imposta sul valore aggiunto e sono esenti da ogni altro tributo “i fondi pervenuti ai predetti enti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione“.

La disposizione in esame stabilisce che per le citate attività resta fermo il regime di esclusione dall’IVA. Si tratta infatti di raccolte occasionali e, come tali, non soggette al tributo specifico. Per espressa previsione normativa, inoltre, esse sono esenti da ogni altro tributo.

Per queste raccolte va redatto un separato rendiconto entro 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio, accompagnato da una relazione illustrativa dal quale far risultare, per esigenze di chiarezza e trasparenza, le entrate e le spese relative a ciascuna manifestazione. Il documento e la relazione devono essere redatti indipendentemente dall’obbligo di redazione del rendiconto annuale (comma 2, dell’art. 20 del D.P.R. n. 600/1973).

L’obbligo di predisporre il rendiconto delle entrate e delle spese di ogni raccolta è indipendente da qualsiasi eventuale ulteriore vincolo contabile a carico dell’ente non commerciale (a prescindere, pertanto, dal fatto che questo svolga o meno attività commerciale). Il rendiconto deve, quindi, essere predisposto anche dall’ente non commerciale che svolga esclusivamente attività istituzionale.

Il rendiconto non deve essere allegato alla dichiarazione dei redditi né va trasmesso in altro modo all’Amministrazione finanziaria o ad altri soggetti. Esso però deve essere conservato, agli effetti fiscali, fino a quando non sia divenuto definitivo l’accertamento relativo al periodo d’imposta cui si riferisce e, quindi, in caso di controversia, anche oltre il termine decennale previsto dall’art. 2220 c.c..

Nella Circolare n. 59/E del 31 ottobre 2007, l’Agenzia delle Entrate ha richiamato la necessità che la raccolta di fondi segua regole ben determinate. In primo luogo, è necessario “individuare e quantificare un rapporto fra i fondi raccolti e la loro destinazione, prevedendo che i costi totali, sia amministrativi sia per l’attività di raccolta fondi, debbano essere contenuti entro limiti ragionevoli e tali da assicurare che, dedotti tali costi, residui, comunque, una certa quota di fondi da destinare ai progetti e alle attività per cui la stessa campagna è stata attivata. A tale proposito, si ritiene che i fondi raccolti debbano essere destinati per la maggior parte del loro ammontare a finanziare i progetti e l’attività per cui la raccolta fondi è stata attivata. I fondi raccolti, in sostanza, non devono essere utilizzati dall’ente per autofinanziarsi a scapito delle finalità solidaristiche che il legislatore fiscale ha inteso incentivare”.

Per le associazioni sportive dilettantistiche che si avvalgono dell’opzione di cui all’art. 1 della Legge n. 398/91, secondo quanto prevede il comma 2 dell’art. 25 della L.  n. 133/99, non concorrono a formare il reddito imponibile, per un numero di eventi complessivamente non superiore a due per anno e per un importo non superiore al limite annuo complessivo fissato con decreto interministeriale (attualmente, il limite è pari a 51.645,67 euro):

a) i proventi realizzati dalle associazioni nello svolgimento di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali;

b) i proventi realizzati per il tramite della raccolta pubblica di fondi effettuata in conformità all’art. 143, comma 3, lett. a) del TUIR.

La seconda fattispecie è disciplinata dal comma 3, lett. b), dell’art. 143 del TUIR, secondo il quale non concorrono in ogni caso alla formazione del reddito degli enti non commerciali i contributi corrisposti da amministrazioni pubbliche ai predetti enti per lo svolgimento convenzionato o in regime di accreditamento di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità con i fini istituzionali degli enti stessi.

L’agevolazione per i contributi è subordinata alle seguenti condizioni:

  1. deve trattarsi di attività aventi finalità sociali;
  2. deve sussistere una convenzione o un accreditamento con l’ente pubblico che ne certifichi l’interesse;
  3. le attività devono essere svolte in conformità alle finalità istituzionali dell’ente.

Nella Circolare ministeriale n. 124/E/1998 è stato precisato che le finalità sociali devono ricomprendersi fra le finalità tipiche dell’ente.

L’agevolazione si applica alle singole attività convenzionate o svolte in regime di accreditamento; ne consegue che l’ente non commerciale può fruire del beneficio della non imponibilità anche limitatamente ad una o più delle attività svolte in convenzione o accreditamento, qualora queste rispettino i requisiti richiesti (finalità sociale e conformità ai fini istituzionali).

La disposizione si rende applicabile anche ai contributi di natura corrispettiva che, a differenza di quelli a fondo perduto, rappresentano comunque entrate di natura commerciale, anche se detassate: gli stessi configurano, quindi, operazioni soggette all’Iva (anche se spesso in regime di esenzione) ed ai connessi adempimenti (fatturazione, registrazione ecc.).