19 Maggio 2015

L’Agenzia “si arrende” all’assenza del quadro VR

di Giovanni Valcarenghi
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In un paese normale, dovrebbe essere sacrosanto il diritto di un contribuente ad avere in restituzione imposte versate in eccesso, a prescindere da qualsiasi formalità omessa o posta in essere in modo non del tutto conforme. D’altro canto, se tanto fiato si spreca per cercare di costruire un rapporto “trasparente e leale” con il Fisco, non può ammettersi che l’Erario possa trattenere indebitamente denari non dovuti. Per essere ancora più esplicito, a mio giudizio l’Erario non potrebbe rifiutare la restituzione nemmeno a seguito del maturare della prescrizione, laddove il contribuente abbia evidenziato nei modelli dichiarativi l’eccedenza spettante.

Tale situazione idilliaca per molto tempo non è stata di attualità in Italia, specialmente nel mondo dell’imposta sul valore aggiunto; correvano ancora i tempi nei quali il rimborso veniva veicolato con la presentazione del modello VR all’Agente della riscossione e, più di una volta, è capitato che tale incombenza non sia stata posta in essere, nonostante l’importo a credito fosse stato evidenziato nel modello dichiarativo.

A parere dell’Agenzia, la mancata ufficializzazione della richiesta determinerebbe la necessità di attivare un rimborso “anomalo” ai sensi dell’articolo 21 del D.Lgs. 546/1992, caratterizzato da un termine di prescrizione biennale.

A parere della dottrina (e, fortunatamente, della giurisprudenza), il termine per il rimborso sarebbe invece decennale, avendo il contribuente comunque manifestato la richiesta per il tramite della dichiarazione annuale.

La vicenda sembra essersi chiusa in data 23 aprile scorso, quando il Sottosegretario Zanetti ha fornito risposta alla Question Time 5-05400, a firma Sottanelli.

Riscontrando che l’orientamento giurisprudenziale, che ritiene applicabile il termine decennale di prescrizione, si è andato solo recentemente consolidando, “ha indotto l’Amministrazione finanziaria ad adottare una posizione di cautela nella gestione del contenzioso pendente”.

Che ciò rimanga agli atti a memoria collettiva: nel dubbio, l’Amministrazione preferisce negare al contribuente un sacrosanto diritto al rimborso!

Ed ancora, “preso atto, peraltro, dell’evoluzione giurisprudenziale richiamata l’Agenzia delle Entrate ritiene di dover adeguare la gestione delle controversie in argomento all’orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione e, conseguentemente, riconoscere il diritto al rimborso richiesto entro il termine di prescrizione ordinaria, subordinandone il diritto alla dimostrazione da  parte  del contribuente  della sussistenza dei relativi  presupposti”.

Come a dire, dunque, che l’atteggiamento di prudenza del fisco era infondato; ed anche questo possiamo tollerarlo.

Piace molto di meno, invece, che quando viene fatta la gentile concessione al suddito contribuente, si abbia anche il coraggio di subordinare la concessione del rimborso alla dimostrazione della sussistenza dei relativi presupposti.

Ora, proviamo per un attimo a ragionare su questa affermazione, dando per scontato che nelle numerose pratiche che si è avuto modo di analizzare, la posizione dell’Amministrazione finanziaria era quasi sempre granitica sul diniego giustificato dalla decadenza del termine. In sostanza, ti nego il rimborso in quanto il tuo diritto appare prescritto, proprio perché si riteneva applicabile il termine biennale e non quello decennale.

La riflessione si impone in quanto l’Agenzia ha dei termini ben precisi per effettuare i controlli sulle dichiarazioni dei vari periodi di imposta, con la conseguenza che i medesimi potrebbero essere già spirati.

Ciò accade in tutte quelle circostanze in cui ci si trovi ad avere attivato un contenzioso sulla particolare materia, impugnando il diniego del Fisco e facendosi forza delle differenti interpretazioni della Cassazione.

Ipotizziamo allora che, davvero, gli uffici periferici seguano l’indirizzo fornito a livello centrale e, pertanto, abbandonino il contenzioso in corso sulla particolare vicenda.

Se il periodo di imposta oggetto di rimborso fosse già prescritto, è legittimo che l’Ufficio richieda al contribuente la presentazione della documentazione di supporto o, ancora, che si gravi il contribuente dell’onere di dimostrare la sussistenza del credito?

A parere di chi scrive la risposta non può che essere negativa, particolarmente in tutte quelle circostanze nelle quali l’atteggiamento dell’Ufficio è stato unicamente quello di negare il rimborso per scadenza dei termini. Insomma, se l’Amministrazione ha risposto “picche” al rimborso in quanto il diritto si riteneva prescritto e nulla ha obiettato in merito alla esistenza ed alla quantificazione del credito, si deve ritenere che l’unica soluzione alla controversia pendente sia quella di erogare il rimborso a seguito del mutato orientamento giurisprudenziale.

Pretendere, invece, come pare che stiano facendo alcuni uffici, di rivitalizzare il potere di controllo su annualità ormai scadute (e, si badi bene, in merito alle quali ben poteva essere effettuato il controllo proprio perché incardinata già una controversia) non pare essere una soluzione giuridicamente corretta.

E, oltre all’aspetto giuridico, anche la logica aiuta a giungere alle medesime conclusioni: l’inerzia prolungata dell’Amministrazione, unita alla assunzione di un comportamento qualificato come palesemente errato dalla giurisprudenza, non può rappresentare una via di fuga per consentire che si possa fare ora quello che si poteva fare a tempo debito.

Quindi, pur salutando con favore il nuovo approccio “buonista”, non resta che augurarsi che la situazione non venga ulteriormente imbastardita continuando a rinviare la restituzione di somme spettanti al contribuente.

Un pensiero di solidarietà, infine, va anche a coloro che nel passato si sono visti negare il rimborso ed hanno desistito, magari per non affrontare un contenzioso visto ancora come una strada in salita; un Fisco giusto e trasparente, in barba a tutti i concetti di consolidamento delle posizioni giuridiche, provvederebbe alla restituzione del maltolto. Ma certamente così non accadrà in Italia.