21 Aprile 2017

La valutazione delle poste monetarie in valuta

di Federica Furlani
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Un’operazione in valuta estera è una qualunque operazione di acquisto/vendita di beni o servizi, di ricevimento o erogazione di un finanziamento, di acquisto di un bene strumentale, etc. effettuata in una valuta diversa dall’euro.

Le operazioni in valuta vanno rilevate inizialmente sulla base del cambio corrente alla data nella quale la relativa operazione è compiuta, ovvero in base al tasso di cambio a pronti (rapporto tra euro e valuta estera) alla data dell’operazione.

L’oscillazione dei tassi che fisiologicamente si verifica tra il momento in cui un’operazione in valuta estera è effettuata e il momento della sua regolazione finanziaria (incasso o pagamento), genera utili o perdite su cambio realizzati.

Per quelle poste derivanti da operazioni in valuta che sono invece ancora in essere alla data di chiusura del bilancio, non essendo state regolate, sorge un problema di valutazione che farà eventualmente emergere utile o perdite su cambi “non realizzati”.

L’articolo 2426, n. 8-bis, cod. civ. prevede un trattamento differenziato a seconda che si tratti di:

  • poste monetarie, ovvero attività e passività che comportano il diritto ad incassare o l’obbligo di pagare, a date future, importi di denaro in valuta determinati o determinabili (crediti e debiti, disponibilità liquide, ratei attivi e passivi, titoli di debito, fondi per rischi ed oneri);
  • e poste non monetarie, ovvero attività e passività che non comportano il diritto ad incassare o l’obbligo di pagare importi di denaro in valuta determinati o determinabili (immobilizzazioni materiali e immateriali, partecipazioni, rimanenze, risconti).

Le poste monetarie in valuta sono convertite in bilancio al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell’esercizio, e i relativi utili e perdite su cambi sono imputati al conto economico dell’esercizio nella voce C17-bisutili e perdite su cambi”, e rappresentano utile o perdite su cambi non realizzati.

L’OIC 26 precisa che, sotto il profilo procedurale, in sede di redazione del bilancio si applica prima l’ordinario criterio valutativo della posta espressa in valuta previsto dal principio contabile di riferimento e poi si effettua la conversione in euro del risultato ottenuto.

Ciò significa, ad esempio, che ai crediti espressi in valuta estera si applica prima il criterio valutativo previsto dall’OIC 15 “Crediti” (minore tra costo ammortizzato e presumibile valore di realizzo) e poi il relativo risultato determinato in valuta è convertito al cambio di fine esercizio.

In sede di bilancio è inoltre necessario indicare separatamente la componente valutativa, che è iscritta nella pertinente voce di conto economico, da quella di conversione, che va imputa a conto economico nella voce C17-bis.

Alla luce del fatto che l’adeguamento al tasso di cambio alla data di chiusura dell’esercizio delle poste in valuta monetarie genera utili o perdite su cambi non realizzati, per evitare la distribuzione di utili non realizzati, il primo comma dell’articolo 2426, n. 8-bis, cod. civ. stabilisce che, una volta convertite le attività e le passività in valuta, “l’eventuale utile netto è accantonato in apposita riserva non distribuibile fino al realizzo”.

Tale disciplina si applica all’utile netto (saldo positivo tra utili e perdite non ancora realizzati) derivante dalla conversione di attività e passività monetarie in valuta al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell’esercizio: esso concorre alla formazione del risultato d’esercizio per poi essere accantonato, in sede di destinazione dell’utile d’esercizio, in un’apposita riserva non distribuibile denominata “Riserva utili su cambi”.

Se il risultato netto dell’esercizio è inferiore all’utile netto non realizzato sulle poste in valuta, l’importo iscritto nella riserva non distribuibile è pari al risultato economico dell’esercizio: la quota di utile su cambi eccedente l’utile non può pertanto essere accantonata.

Dal punto di vista fiscale la valutazione delle poste in valuta estera a fine esercizio non assume alcuna rilevanza: rilevano solo gli utili e le perdite realizzati e non quelli derivanti dalla valutazione alla data di chiusura del bilancio, ai sensi dell’articolo 110, comma 3, Tuir, che non sono pertanto rispettivamente imponibili e deducibili.

Di qui la necessità di effettuare variazioni in aumento (per le perdite non deducibili) o in diminuzione (per gli utili non imponibili) in sede di dichiarazione dei redditi, variazioni che generano delle differenze temporanee tra risultato d’esercizio e reddito imponibile che comportano la necessità di rilevare la fiscalità differita, attiva o passiva, in sede di determinazione del carico fiscale a bilancio.

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