23 Maggio 2014

La scissione della SAS proporzionale con separazione dei soci

di Ennio VialVita Pozzi
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E’ possibile “separare” i soci in disaccordo senza ricorrere ad una scissione asimmetrica ossia una scissione nella quale, con il consenso unanime dei soci, è possibile non assegnare ad alcuni di essi partecipazioni in una delle società beneficiarie ma esclusivamente partecipazioni nella scissa.

E’ quanto emerge dal parere 31.1.2005 n.1 del Comitato Consultivo per le norme antielusive dove si affronta appunto il caso di una separazione di soci senza ricorrere a successive cessioni di quote o ad una scissione non proporzionale.

Nel caso di specie, infatti, ciascun socio diventa unico socio accomandatario (e quindi amministratore unico) di una società di persone proprietaria di una parte del compendio patrimoniale nella quale gli altri soci entrano come accomandanti.

Il caso era il seguente: una società in accomandita semplice aveva come oggetto sociale «l’amministrazione e la conduzione di beni immobili, la ripartizione, la compravendita e la permuta di terreni e fabbricati agricoli civili». Il compendio immobiliare era da sempre appartenuto alla stessa famiglia ed era intenzione di quest’ultima mantenere unitaria la proprietà; tuttavia, i soci erano in disaccordo circa le modalità di gestione del patrimonio, sia per quanto attiene gli investimenti da effettuare per la ristrutturazione delle singole unità, sia in relazione alle modalità di valorizzazione del complessivo patrimonio immobiliare.

Preso atto che il dissidio comprometteva il buon funzionamento della società, i soci intendevano addivenire ad una scissione così caratterizzata:

  • scissione totale proporzionale in sei società neo costituite, dove i soci detengono le medesime percentuali con le quali gli stessi concorrono al capitale della società scissa;
  • attribuzione alle società beneficiarie di beni immobili aventi valore sostanzialmente coincidente fra loro;
  • le società beneficiarie vengono costituite con la forma di società in accomandita semplice e «ogni rappresentante del nucleo familiare diverrebbe accomandatario, con ampi poteri di gestione (circa i lavori di ristrutturazione, manutenzione e disposizione), di una delle società derivate dall’operazione di scissione»;
  • la scissione avviene in neutralità fiscale senza emersione di plusvalenze o minusvalenze;
  • le quote delle società beneficiarie non vengono cedute a terzi.

Il Comitato ha espresso parere favorevole all’operazione precisando che la scissione societaria «è operazione di per se stessa non elusiva né, singolarmente presa, suscettibile di sottintendere finalità elusive».

Nel caso di specie, inoltre, l’operazione è sorretta anche dalle valide ragioni economiche che possono essere rinvenute «nel dichiarato intento di conseguire … un appianamento, tra i diversi rami della famiglia, delle attuali divergenze in ordine alle migliori decisioni da assumere per la gestione delle diverse quote del compendio immobiliare che soddisfano le esigenze dei medesimi rami della famiglia».

Ci si può chiedere quali potessero essere le strade alternative per conseguire il medesimo risultato.

La stessa soluzione poteva essere raggiunta alternativamente attraverso:

  • una scissione non proporzionale che si concretizza ogni qualvolta il progetto di scissione preveda una assegnazione ai soci in misura non proporzionale senza che tale disparità di trattamento sia interamente compensata con conguagli in denaro. Perché ricorra tale fattispecie è indispensabile che nessun socio sia escluso dall’assegnazione, anche se minima, di partecipazioni in tutte le società risultanti dalla scissione, compresa la scissa;
  • una scissione proporzionale seguita dalle cessioni di quote.

Tuttavia, la scissione non proporzionale avrebbe richiesto la perizia di stima ai sensi dell’art. 2501 sexies c.c. richiamato dall’art. 2506 ter.

Inoltre, la cessione di quote seguente alla scissione può astrattamente presentare profili di elusività in quanto sostituisce la tassazione di plusvalenze di beni di primo livello (immobili) con la tassazione (spesso meno onerosa) di plusvalenze su beni di secondo livello (partecipazioni).

Nel caso di specie, quand’anche il componimento dei dissidi tra soci avesse permesso di non considerare elusiva l’operazione, le cessioni di partecipazioni avrebbero comunque potuto generare una plusvalenza tassabile in capo ai soci.