6 Marzo 2014

La rivalutazione dei cespiti impone attenzione alle conseguenze sugli ammortamenti

di Fabio Landuzzi
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La rivalutazione dei beni d’impresa prevista dalla Legge di Stabilità 2014 rappresenta come noto un’opportunità di patrimonializzazione contabile per le imprese e proprio per questa ragione può interessare maggiormente proprio quelle società che sono desiderose di migliorare i propri indicatori patrimoniali. In modo particolare quando l’oggetto della rivalutazione sono immobili, ed il beneficio fiscale sotteso alla rivalutazione è quindi assai limitato, un obiettivo delle imprese che ricorrono alla rivalutazione può essere comunque quello di calcolare negli esercizi successivi delle quote di ammortamento per quanto possibile contenute, o comunque pressoché allineate ai valori imputati ai bilanci precedenti. Ciò nell’intero di scongiurare che l’incremento delle quote di ammortamento indotto dalla rivalutazione possa poi in breve determinare un peggioramento significativo dei risultati economici senza peraltro avere alcun immediato beneficio fiscale stante la sospensione della deducibilità delle maggiori quote di ammortamento stanziate in bilancio per via della rivalutazione. Si pongono allora due obiettivi fra loro del tutto sganciati, ovvero:

  • Rivalutare l’immobile, in modo da esprimerne nel bilancio il suo maggiore valore e ottenere l’effetto di patrimonializzare l’impresa; e
  • Non gravare i futuri conti economici di ammortamenti eccessivamente onerosi e che non sarebbero sostenibili.

Dinanzi a questa situazione, l’impresa deve agire su due strumenti tecnici:

  • La scelta della tecnica contabile utilizzata per la rilevazione della rivalutazione; e
  • La ri-definizione della vita utile residua del cespite rivalutato.

Non va infatti taciuto che, se la rivalutazione viene iscritta ad incremento del costo storico del bene, il corretto approccio contabile si sostanzierebbe nel determinare la nuova quota annua di ammortamento dividendo il valore netto contabile del bene post rivalutazione per la sua residua vita utile, la quale infatti non cambia per effetto della semplice rivalutazione.

Con riferimento proprio a questo secondo aspetto (la revisione della vita utile residua del bene), la perizia estimativa utilizzata per la determinazione del valore di riferimento del bene in funzione della rivalutazione, può diventare quindi lo strumento più idoneo a fornire una valutazione prospettica della residua capacità del cespite di conservare utilità economica per l’impresa. Tale situazione può essere raggiunta in ottemperanza alle prescrizioni del Principio contabile OIC 16, proprio quando la perizia tecnica utilizzata al servizio della rivalutazione contiene un’affermazione del tenore esemplificativo seguente: “In relazione alla particolarità costruttiva del complesso, considerando il grado di vetustà e il livello della modalità di fruizione del bene, si può stimare che la vita residua dal 1 gennaio 2014 si attesti in un intervallo di ____ anni”.

Pertanto, applicare la rivalutazione impone come detto molta attenzione alla gestione degli ammortamenti futuri con la conseguenza che al fine di evitare spiacevoli e significativi aumenti delle quote annue di ammortamento dei cespiti rivalutati si rende consigliabile valutare in anticipo:

  1. L’utilizzo di una tecnica contabile di iscrizione della rivalutazione in bilancio alternativa, che prioritariamente azzeri il fondo ammortamento stanziato in bilancio negli anni precedenti; e
  2. La revisione della stima della vita utile residua del cespite, ricorrendo preferibilmente ad una valutazione tecnica peritale.