24 Febbraio 2017

La rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno

di Luigi Ferrajoli
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Nel giudizio di cassazione, il giudicato esterno ed il giudicato interno sono rilevabili d’ufficio anche nell’ipotesi in cui si siano formati successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. È l’interessante principio ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 26049 del 16 dicembre 2016 in una vicenda riguardante la rettifica del valore di un terreno edificabile acquistato da una società e fatto oggetto di avviso di rettifica e liquidazione per imposte di registro, ipotecaria e catastale.

L’atto impositivo era stato notificato alla società acquirente del terreno, al legale rappresentante della medesima, nonché alla parte venditrice ed era stato oggetto di separate impugnazioni.

Il giudizio instaurato da parte della società aveva visto quest’ultima soccombere nel grado di appello, posto che la CTR del Lazio, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate, aveva ritenuto congruo il maggior valore da quest’ultima accertato (€ 1.816.800,00 anziché il valore dichiarato di € 1.000.000,00).

La società proponeva quindi ricorso per Cassazione deducendo, con il primo motivo, la formazione di un giudicato esterno diretto tra le stesse parti in relazione al medesimo atto impositivo e, in particolare, con riferimento alla sentenza della CTR Lazio n. 223/06/10 emessa nei confronti della società in persona del legale rappresentante.

Si rammenta che l’articolo 2909 del codice civile, rubricato “Cosa giudicata”, prevede che “L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.

La Corte di Cassazione ha accolto il predetto motivo di ricorso, dando contezza del fatto che risultava agli atti la sentenza della CTR Lazio n. 223/06/10 con l’attestazione di avvenuto passaggio in giudicato, la quale, nel confermare la decisione del primo giudice, aveva ritenuto congruo il valore del terreno in Euro 1.000.000,00.

Tale sentenza, secondo la Suprema Corte, costituiva giudicato diretto tra le parti del giudizio, poiché si era formato nei confronti del legale rappresentante della stessa società; la Cassazione inoltre ha rilevato che il giudicato esterno era stato legittimamente allegato al ricorso per cassazione, in quanto formatosi (gennaio 2011) dopo la pubblicazione della sentenza di appello (luglio 2010) e ciò in applicazione del principio, già consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui: “nel giudizio di cassazione, il giudicato esterno è, al pari del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Tale elemento non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando, quindi, della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, non trova ostacolo nel divieto posto dall’articolo 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che potevano essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato, i quali, comprovando la sopravvenuta formazione di una “regula iuris” cui il giudice ha il dovere di conformarsi, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso” (Cass. n. 26041 del 23/12/2010; in termini, tra le molte, Cass. nn. 30780/11; 28247/13; 11365/15).

La Corte di Cassazione ha comunque compensato le spese del giudizio data la sopravvenienza del giudicato in questione successivamente alla sentenza impugnata.

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Il giudizio di secondo grado nel processo tributario e la consulenza giuridica nel giudizio di cassazione