25 Febbraio 2015

La responsabilità nell’organizzazione dei corsi degli enti non profit

di Guido Martinelli
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Nel corso dei nostri interventi sulla rubrica dedicata agli enti non commerciali, abbiamo già analizzato le associazioni di promozione sociale, le principali strutture delle associazioni di volontariato ed anche i maggiori profili di responsabilità di coloro che agiscono in nome e per conto delle associazioni. Oggi approfondiamo la responsabilità connessa all’organizzazione di corsi, per insegnanti ed educatori di tali enti.


 

L’attività maggiormente diffusa tra le associazioni di promozione sociale è l’organizzazione di attività in favore di associati, in molti casi alla presenza e con la guida di istruttori.

Questi ultimi sono equiparati, per quanto riguarda la responsabilità, a coloro che insegnano un mestiere o un’arte; pertanto essi rispondono in base all’art. 2048, comma 2, C.C. del danno cagionato dal fatto illecito commesso dei loro allievi, nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza (questo genere di responsabilità è, nella pratica, ravvisabile soprattutto con allievi e utenti “minori”).

Quella degli insegnanti o educatori è una responsabilità indiretta per colpa propria, ossia tali soggetti rispondono per avere violato il loro dovere di vigilanza. La prova che libera l’insegnante da responsabilità non si esaurisce nella dimostrazione di non avere potuto impedire il fatto, ma si estende alla dimostrazione di avere adottato in via preventiva le misure organizzative idonee ad evitarlo. Pertanto l’insegnante non sarà responsabile per difetto di vigilanza, nel caso in cui avrà dimostrato di aver adottato tutte quelle misure organizzative e disciplinari che, considerata la disciplina impartita, erano sufficienti ad evitare il danno. Infatti, in certi casi, l’atto dannoso può ricondursi non all’omessa vigilanza, o non esclusivamente ad essa, bensì alle erronee istruzioni impartite.

Ciò vale, di norma, per quei casi in cui l’insegnante è tenuto preliminarmente a verificare l’efficienza o la tenuta degli strumenti o del materiale utilizzato e controllare la salute dell’allievo (es. canto, danza ecc.), arrivando ad interrompere o impedire la preparazione qualora l’allievo sia in condizioni psicofisiche precarie

L’adeguatezza della vigilanza e dei controlli deve essere valutata con riferimento non solo all’efficacia di intervento correttivo o repressivo ma anche in relazione alla imposizione di misure organizzative o disciplinari idonee ad evitare la situazione di pericolo o a prevenire l’insorgenza dei fattori causativi di danno. Resta, tuttavia, inteso che l’istruttore risponderà dell’illecito che l’allievo ha determinato solo nel tempo in cui egli è sottoposto alla sua vigilanza, potendo rispondere solo degli eventi che ricadono sotto il suo potere di vigilanza e controllo (e quindi della c.d. sola “culpa in vigilando”).

La colpa degli insegnanti, è opportuno sottolinearlo, concerne anche il danno che l’allievo o l’utente del corso arrechi a se stesso in quanto l’obbligo di vigilanza è imposto a tutela non solo dei terzi, ma anche dei minori loro affidati. Nel caso di danni risentiti dall’allievo a causa dello scarso controllo o dell’imperizia dell’insegnante, oltre alla responsabilità di quest’ultimo, come si è appena precisato, scatta, in base all’art. 2049 C.C. la responsabilità solidale dell’ente di riferimento.

L’associazione, pertanto, risponderà a titolo di responsabilità extracontrattuale dei danni subiti dall’allievo per fatto illecito dell’insegnante posto in essere nell’esercizio delle incombenze a cui è adibito. E’ la c.d. responsabilità del preponente per i danni causati dal suo preposto. L’art. 2049 C.C., infatti, prevede che degli illeciti commessi da ausiliari dell’associazione, cioè da persone adibite dall’ente a determinate incombenze (es. insegnanti, istruttori, autisti, dirigenti e dipendenti in genere), risponda indirettamente la stessa associazione. Il principio racchiuso in tale articolo rappresenta la massima applicazione del principio della responsabilità indiretta, cioè della responsabilità che ricade non sul soggetto agente, ma su un soggetto che per maggiori disponibilità economiche o per requisiti peculiari può meglio far fronte alle conseguenze patrimoniali dell’atto compiuto da un proprio dipendente.

La responsabilità sussisterà ove vi sia, tra l’associazione e l’istruttore, un rapporto di subordinazione, con conseguente possibilità di controllo e sorveglianza sull’attività del preposto, o, quanto meno, un generico rapporto di dipendenza, anche se di carattere occasionale o temporaneo, caratterizzato da un potere di direzione e vigilanza. Occorre, inoltre, che il comportamento illecito sia stato tenuto dal preposto nell’adempimento (cd. nesso di occasionalità necessaria) delle mansioni affidategli. Questo requisito richiesto dalla giurisprudenza (da non confondersi col nesso di causalità), impone che le mansioni o incombenze affidate al preposto abbiano “occasionato” l’evento lesivo, nel senso che queste abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno, a nulla rilevando che tale comportamento si sia posto in modo autonomo nell’ambito dell’incarico o abbia addirittura ecceduto i limiti di esso, magari in trasgressione degli ordini ricevuti. Trattasi di una presunzione di colpa in capo al sodalizio che viene meno solo se questo sia in grado di dimostrare l’inesistenza del rapporto di preposizione e/o dipendenza oppure l’inesistenza del nesso di causalità tra le incombenze affidate e l’illecito commesso. L’associazione per esonerarsi dalla responsabilità dovrà, cioè, fornire la prova dell’insussistenza dei presupposti per l’operatività della norma analizzata, contestando che il danno si sia verificato nell’espletamento delle funzioni stesse o assumendo la riferibilità del danno all’attività privata dell’insegnante.