20 Novembre 2014

La prova del “titolo non traslativo” per i beni destinati all’estero

di Marco Peirolo
Scarica in PDF

L’art. 50, comma 5, del D.L. n. 331/1993 dispone che i movimenti relativi ai beni trasferiti in ambito intracomunitario a titolo non traslativo della proprietà devono essere annotati in un apposito registro, tenuto e conservato a norma dell’art. 39 del DPR 633/1972.

La norma si riferisce ai titoli non traslativi di cui all’art. 38, comma 5, lett. a), del D.L. n. 331/1993, che fa riferimento alle ipotesi sospensive riguardanti, da un lato, i beni oggetto di lavori o perizie e, dall’altro, i beni utilizzati per l’esecuzione di prestazioni o ammessi alla temporanea importazione in esenzione totale dai dazi.

L’obbligo del registro in esame è previsto anche dall’art. 39, comma 1, del D.L. n. 331/1993, ai fini della sospensione d’imposta prevista per le cessioni e gli acquisti intracomunitari i cui effetti traslativi o costitutivi si producono in un momento successivo alla consegna, nonché nel caso di beni trasferiti in dipendenza di contratti estimatori e simili; con l’avvertenza che, al pari delle stesse operazioni effettuate in ambito nazionale (cfr. art. 6, commi 1 e 2, lett. d), del D.P.R. n. 633/1972), l’effetto sospensivo viene in ogni caso meno decorso un anno dalla consegna o dal ricevimento dei beni.

L’Amministrazione finanziaria non considera, tuttavia, tassativo l’utilizzo del registro dei movimenti intracomunitari, in particolare laddove il trasferimento dei beni risulti dalla loro “presa in carico” su un apposito documento, numerato e conservato ai sensi del citato art. 39 del D.P.R. n. 633/1972. Sul punto, può richiamarsi la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 39 del 31 marzo 2005, in tema di “tentata vendita” di beni in altri Paesi membri dell’Unione europea.

Non è chiaro, però, se questa indicazione sia generalizzabile.

In giurisprudenza, è stato rilevato come “le finalità sottese all’istituzione del registro, considerate dal legislatore con il D.L. n. 331/1993, non siano in via principale quelle dell’identificazione di uno strumento idoneo a vincere le presunzioni di cessione e di acquisto, quanto, piuttosto, quelle di fornire un valido supporto per controllare i movimenti di beni nell’ambito del territorio comunitario soprattutto alla luce della caduta delle barriere doganali” (C.T. Prov. di Cuneo, 8 novembre 2012, n. 145/2/12). In base a questo orientamento, il regime sospensivo connesso alla movimentazione intracomunitaria non viene, quindi, meno se il contribuente è in grado di dimostrare il titolo non traslativo della proprietà.

Il registro di cui all’art. 50, comma 5, del D.L. n. 331/1993 non può essere, invece, utilizzato per i trasferimenti “senza vendita” a destinazione di un Paese extra-UE o da quest’ultimo provenienti.

Nel caso dei beni in conto deposito di provenienza extracomunitaria, la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 346 del 5 agosto 2008 ha precisato che il registro in esame è destinato ad accogliere le movimentazioni in entrata ed in uscita dei beni che vengono trasferiti da un Paese all’altro dell’Unione europea a titolo non traslativo della proprietà. Ancorché le annotazioni operate dal contribuente possano, di fatto, risultare funzionali all’esigenza di superare le presunzioni di cessione e di acquisto, il registro di cui trattasi è specifico e non può essere utilizzato per annotare i beni diversi da quelli comunitari.

In definitiva, secondo la Risoluzione n. 346/E/2008, la natura di “bene di terzi in conto deposito” deve risultare dalla bolletta doganale d’importazione, da annotare nel registro degli acquisti (di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 633/1972) ai fini dell’esercizio del diritto di detrazione. Ciò non toglie, conclude l’Agenzia, che il contribuente possa istituire un registro di “carico e scarico” della merce movimentata nel deposito, da tenere e conservare ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972.

Per gli stessi movimenti di beni, destinati verso un Paese extra-UE, l’esportazione risulta dall’emissione della relativa bolletta doganale corredata da una fattura pro forma.

Nella Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n.94 del 13 dicembre 2013, è stato ritenuto che, per i beni inviati all’estero in regime “franco valuta”, cioè senza “vendita”, occorre annotare le spedizioni in apposito registro, riportando per ciascuna annotazione gli estremi del documento di esportazione (si veda anche la R.M. 4 dicembre 1975, n. 520657).

In caso, invece, di invio di beni in conto lavorazione al di fuori dell’Unione europea (in regime di perfezionamento passivo, ovvero di esportazione definitiva senza passaggio della proprietà), ai fini del superamento della presunzione di cessione è stato chiarito che non è possibile emettere una fattura pro forma, ma può essere utilizzata una lista valorizzata su carta intestata, da annotare in apposito registro tenuto e conservato ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972. In alternativa, può farsi utile riferimento anche al documento di trasporto o di consegna, senza che sia necessaria l’annotazione sul predetto registro (C.M. 15 luglio 1999, n. 156/E e nota Dipartimento delle Dogane 6 maggio 1997, n. 1248/VII).