26 Maggio 2014

La poca concorrenzialità della convenzione con Hong Kong

di Ennio VialVita Pozzi
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Abbiamo già avuto modo di illustrare tempo addietro come il 14 gennaio 2013 è stata firmata, dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, la Convenzione contro la doppia imposizione fiscale tra l’Italia e Hong Kong. Una volta completato il processo di ratifica, necessario per l’entrata in vigore, la Convenzione permetterà di intensificare i rapporti economici tra i due paesi secondo i più aggiornati standard dell’OCSE.

Diverse sono le opportunità che l’entrata del Trattato porterà per gli operatori italiani: prima tra tutte la prospettiva di una uscita del Paese dalle black list italiane.

Anche ai fini del monitoraggio fiscale Hong Kong non è considerato un paese “collaborativo” e opera quindi il principio del look through. Probabilmente, la ratifica della Convenzione potrebbe modificare tale qualifica.

Se però analizziamo la questione da una visuale diversa, ossia quella dell’investitore asiatico che intende investire in Europa, le opportunità scemano sensibilmente.

Nell’ultimo lustro sono state firmate convenzioni con i seguenti Paesi: Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Ungheria, Irlanda, Jersey, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svizzera e Regno Unito. L’investitore estero sarà interessato a rimpatriare i propri dividendi e gli interessi dei finanziamenti senza subire ritenute in uscita o quanto meno minimizzandole.

A livello europeo nasce quindi una sorta di concorrenza, forse inconsapevole tra i diversi Paesi, al fine di diventare il futuro portale di ingresso nel vecchio continente per questi investitori.

L’Italia ha perso questa opportunità in quanto la convenzione prevede una ritenuta in uscita sui dividendi del 10%, a differenza di altri paesi dove questa ritenuta può arrivare a zero.

Ad esempio, l’Austria, la Svizzera e la Spagna non applicano ritenute se la società che percepisce gli utili detiene una partecipazione di almeno il 10%.

Analoga previsione vale per il Lussemburgo ed i Paesi Bassi solo che in questi casi è richiesta una partecipazione rispettivamente di almeno il 25% e 50%.

La ritenuta non si applica nemmeno per il Belgio sempre a condizione che sia detenuta una partecipazione del 25%.

Ci sono Paesi come il Regno Unito dove è prevista convenzionalmente una ritenuta del 15% e quindi peggiorativa rispetto all’Italia. In realtà, va ricordato come questo Paese, per normativa interna, non preveda l’applicazione di ritenute sui dividendi in uscita.

Analoghe considerazioni valgono anche per Malta e Cipro.

Peraltro, Cipro è addirittura un paese non convenzionato con Hong Kong ma che omette la ritenuta sui dividendi per normativa interna.

L’applicazione di una ritenuta alla fonte sui dividendi risulta particolarmente sgradita in quanto essendo generalmente i dividendi esenti per via della participation exemption, la ritenuta diviene un prelievo non recuperabile.

Le conseguenze della convenzione tra Italia e Hong Kong sono immediate: gli investitori asiatici non utilizzeranno mai l’Italia come porta di ingresso per gli investimenti in Europa, preferendo le soluzioni alternative che abbiamo illustrato.

Le prime convenzioni ad essere state firmate con Hong Kong sono state quella con il Belgio (10 dicembre 2003) e quella con il Lussemburgo (2 novembre 2007).

Gli altri Paesi Europei hanno iniziato a firmare le convenzioni solo a partire dal 2010.

L’Italia è quindi uno degli ultimi paesi europei a siglare un accordo con Hong Kong e peraltro con condizioni non molto vantaggiose.