10 Ottobre 2015

La nota di variazione per i crediti insoluti di modesto importo

di Marco Peirolo
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Il recupero dell’IVA in caso di mancato pagamento del corrispettivo dell’operazione già effettuata assume rilevanza, in particolar modo, per le imprese operanti nei settori delle utilities (es. telefonia, energia, acqua, ecc.), in quanto la fattura viene normalmente emessa prima del pagamento del corrispettivo da parte del cliente.

Di regola, per i crediti relativi alle forniture di servizi rimasti insoluti anche a seguito dell’infruttuoso esperimento delle procedure interne della società viene attivata la procedura di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta, di cui all’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972. L’Ufficio, tuttavia, in caso di controllo, contesta la detrazione dell’imposta relativa alla nota di variazione, in quanto emessa sulla base della dichiarazione comunicata al cliente inadempiente di risolvere il rapporto contrattuale in forza della clausola risolutiva espressa inserita ab origine nel contratto di abbonamento.

Secondo la tesi erariale, per i contratti di somministrazione, la risoluzione del contratto produce effetti ex nunc, ossia a partire dalla data di risoluzione, mentre le prestazioni antecedenti, già fatturate e fruite dal cliente, rimangono valide anche se non pagate.

In giurisprudenza, le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria sono state talvolta disattese nella considerazione che, nei contratti ad esecuzione periodica e continuativa, quali quelli in esame, per prestazioni già eseguite s’intendono quelle con le quali il debitore abbia pienamente soddisfatto le ragioni del creditore, sicché l’irretroattività opererebbe esclusivamente rispetto agli adempimenti la cui creazione soddisfi le reciproche ragioni creditorie. Di conseguenza, nel caso di inadempimento di una delle parti, la risoluzione del contratto ha efficacia retroattiva anche rispetto alle prestazioni pregresse, per cui l’operazione, ai fini IVA, viene meno, risultando possibile emettere la nota di credito al fine di recuperare l’imposta relativa al corrispettivo oggetto di fatturazione.

A favore del Fisco, esiste tuttavia un diverso orientamento giurisprudenziale in base al quale, con la nota di credito, il cedente/prestatore ha diritto di portare in detrazione l’imposta solo quando, a seguito di risoluzione del contratto, l’operazione è venuta meno perché il bene/servizio è stato retrocesso, oppure – al fine di evitare l’evasione del tributo – può essere provato il mancato pagamento da parte del cliente con l’infruttuosità delle azioni esecutive o con l’assoggettamento del cliente a procedura concorsuale. Pertanto, non essendo possibile ottenere la restituzione del servizio reso, la procedura di variazione, per essere ammessa, richiede che il fornitore sia in grado di dimostrare l’infruttuosità delle procedure esecutive o concorsuali.

Si tratta, all’evidenza, di un’impostazione che impedisce l’applicazione della procedura di variazione siccome i crediti insoluti sono, di regola, di modesto importo, risultando pertanto antieconomico l’esperimento di una procedura esecutiva destinata a restare, comunque, infruttuosa.

Sul punto, la Commissione Tributaria Regionale di Milano, con l’ordinanza n. 259/19/2015 del 3 marzo 2015, ha sottoposto al vaglio della Corte di giustizia la questione della compatibilità della norma nazionale (art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972) che subordina il recupero dell’imposta all’esperimento di una procedura concorsuale o esecutiva che sia rimasta infruttuosa. Il rinvio pregiudiziale, in particolare, riguarda l’ipotesi in cui tali attività siano antieconomiche in ragione dell’importo del credito vantato, delle prospettive del suo recupero e dei costi delle azioni esecutive o delle procedure concorsuali.

Si rammenta che l’Associazione italiana Dottori commercialisti, con la norma di comportamento n. 192 del 2015, ha ritenuto che, in caso di procedura concorsuale, il cedente/prestatore può emettere la nota di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta nel momento in cui l’ammontare originariamente addebitato in fattura si manifesta, in tutto o in parte, non recuperabile e, quindi, anche prima che la procedura sia conclusa.

Le considerazioni espresse dall’Associazione a favore di questa conclusione, in quanto basate sull’interpretazione della corrispondente disciplina comunitaria (artt. artt. 90, par. 2 e 185, par. 2, comma 2, della Direttiva n. 2006/112/CE), mettono in luce l’illegittimità dell’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 anche rispetto alla variazione dell’imponibile e dell’imposta prevista in caso di mancato pagamento dipendente dalle procedure esecutive rimaste infruttuose.

Nell’attesa della pronuncia della Corte di giustizia, è dato osservare che l’Agenzia delle Entrate, nella nota emessa il 16 marzo 2015 in risposta ad una istanza di interpello, ha chiarito che “il verificarsi della condizione contemplata da una causa risolutiva espressa apposta al contratto, quale il mancato pagamento (art. 1456 c.c.) o l’inutile decorso del congruo termine intimato per iscritto alla parte inadempiente (art. 1454 c.c.) possono costituire il presupposto legittimante l’attivazione della procedura in esame”, cioè quella volta al recupero dell’imposta da parte del fornitore.

La precisazione assume rilevanza anche ai fini della possibilità di recuperare l’imposta per i crediti di modesto importo, rispetto ai quali non sia stata avviata una procedura concorsuale o esecutiva.

L’Agenzia, infatti, dopo avere ritenuto che non è possibile emettere note di variazione in diminuzione dell’IVA per antieconomicità dell’avvio della procedura esecutiva, ha precisato che “(l)’art. 26, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 (…), tra le ipotesi che consentono al cedente o prestatore del servizio di variare in diminuzione l’imponibile o l’imposta, individua anche la «risoluzione», senza distinguere tra risoluzione giudiziale o di diritto”.

In assenza di specifiche limitazioni, il chiarimento dovrebbe valere anche per le prestazioni ad esecuzione continuata o periodica, sicché il mancato pagamento determina la risoluzione del contratto con effetti ex tunc, ossia a decorrere dalla prima fattura rimasta insoluta.