29 Marzo 2016

La motivazione della cartella di pagamento

di Luigi Ferrajoli
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Con la recente ordinanza n. 82 depositata in data 07.01.2016, la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, si è pronunciata in relazione alla problematica dell’illegittimità della cartella di pagamento relativa a diritti e imposte doganali per vizio di motivazione, riferita alla materia di riscossione.

In particolare, nel caso in esame il contribuente aveva impugnato detta cartella avanti la Commissione Tributaria Provinciale e, a seguito della pronuncia di rigetto, il ricorrente aveva dunque proposto appello avanti la Commissione Tributaria Regionale.

Nel giudizio conseguente, la CTR accoglieva i motivi proposti dal contribuente, osservando che la cartella di pagamento, nella quale era stata trasfusa la pretesa fiscale avanzata dall’Agenzia delle Dogane, era stata notificata senza il processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza concernente l’accertamento degli illeciti ed in mancanza, altresì, della sentenza penale di assoluzione, con conseguente violazione dell’art.7 della L. n.212/00 e dell’art.3 della L. n.241/40, rendendo in questo modo impossibile al contribuente prendere cognizione dei fatti oggetto di contestazione.

In particolare, secondo i giudici dell’appello, ciò costituiva violazione dell’art. 7 della L. n.212/00, non risultando neppure che l’Ufficio avesse fornito la prova della colpevolezza del contribuente, che era stato prosciolto nel giudizio penale in relazione all’intervenuta prescrizione.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli proponeva dunque ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi.

Con il primo motivo, l’Ufficio contestava che le censure esposte dal contribuente erano relative a vizi pertinenti l’invito di pagamento e non già la cartella esattoriale, dunque quest’ultima, essendo stata preceduta da un avviso di liquidazione non impugnato, non doveva essere ritenuta soggetta all’obbligo di motivazione.

Con il secondo motivo, assorbente anche del terzo, l’Agenzia eccepiva il difetto di motivazione, in quanto la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe esaminato le deduzioni dell’Agenzia stessa in punto responsabilità del ricorrente, che sarebbero pacificamente emerse dal verbale della Guardia di Finanza, secondo cui vi sarebbero state false dichiarazioni, da parte del contribuente, in ordine all’immissione in libera pratica di merce proveniente da Paesi extra UE.

La Suprema Corte, richiamando una propria precedente statuizione (sentenza n. 21177/14), ha avuto modo di affermare nuovamente il principio secondo cui non è possibile dichiarare l’annullamento di una cartella esattoriale per vizio di motivazione nel caso in cui quest’ultima, che non costituisca il primo e unico atto con cui si esercita la pretesa tributaria, sia stata preceduta dalla notifica di un altro atto impositivo. Ciò anche qualora la stessa non abbia riportato gli elementi essenziali dell’atto presupposto, conosciuto e autonomamente impugnato dal contribuente.

A tale proposito la Corte, facendo specifico riferimento ai principi esposti in materia dalle Sezioni Unite (cfr. Cass., S.U., sentenza n. 11722/10), ha infatti affermato che “Quando la cartella esattoriale non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, come è nel caso in cui il Consorzio, ai sensi del R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 21, procede alla riscossione dei contributi, essa deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione”.

Nel caso in questione, ha osservato la Suprema Corte, la cartella impugnata era stata pacificamente preceduta da un avviso di liquidazione, tra l’altro menzionato e riprodotto nel ricorso.

Conseguentemente, ad avviso del Giudice di legittimità la Commissione Tributaria Regionale ha errato nel ritenere la cartella impugnata affetta da un vizio di motivazione, in quanto la medesima conteneva il riferimento alla sentenza penale pronunciata nei confronti del contribuente.

Non solo. La Corte di Cassazione ha ritenuto meritevole di accoglimento anche il secondo motivo di impugnazione proposto dall’Agenzia, affermando che il Giudice dell’appello non aveva debitamente esaminato un verbale della Guardia di Finanza da cui erano emersi fatti decisivi per il giudizio in malam partem rispetto alla posizione del contribuente.