23 Giugno 2014

La motivazione della cartella di pagamento, questa sconosciuta!

di Massimo Conigliaro
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Senza adeguata motivazione la cartella è nulla. Sembra un’affermazione scontata, ma ancora oggi, troppo spesso, le ragioni della pretesa tributaria faticano a trovare spazio negli atti della riscossione. Lo ha ribadito di recente la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 8934 del 17 aprile 2014 in tema di recupero del credito d’imposta. I giudici del “palazzaccio” hanno chiarito che recupero che “di per sé è affermazione anonima delle ragioni per le quali l’Amministrazione suppone di vantare un credito, giacchè quest’ultimo può emergere sia dalla erronea contabilizzazione di crediti effettivamente spettanti sia dall’esclusione dei presupposti per il riconoscimento della spettanza”.

Non aver chiarito di quale delle due alternative evenienze si trattasse (erronea contabilizzazione o carenza dei presupposti?) e non essendoci alcuna ragione per supporre che al giudice del merito non potesse essere ignoto che la cartella in parola – come sostenuto dall’amministrazione finanziaria nel giudizio innanzi dalla Corte di Cassazione – “costituisce “mero atto di riscossione”, giustificato dal mero riesame contabile degli stessi dati contenuti nella dichiarazione del contribuente, non resta che concludere che il motivo di impugnazione non consente di dare risposta al nucleo logico del quesito prospettato, cioè se la motivazione della cartella di pagamento fosse coerente con la funzione provvedimentale alla quale la cartella medesima è destinata ad assolvere.”

In pratica, in linea con precedenti pronunce (26330/2009), la Corte è tornata ad occuparsi della materia ed ha ribadito che gli atti impositivi devono contenere una motivazione congrua, sufficiente ed intellegibile a rendere edotto il contribuente destinatario dell’an e del quantum della pretesa tributaria al fine di esercitare con pienezza di facoltà il diritto alla difesa.

Conformemente all’orientamento della Corte Costituzionale (cfr. sentenza 229/99 e ordinanza 117/00), la Cassazione ha precisato che l’obbligo di una congrua, sufficiente ed intelligibile motivazione non può essere riservato ai soli avvisi di accertamento, atteso che alla cartella di pagamento devono ritenersi comunque applicabili i principi di ordine generale indicati per ogni provvedimento amministrativo dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, (poi recepiti, per la materia tributaria, dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7), ponendosi, una diversa interpretazione, in insanabile contrasto con gli artt. 3 e 24 Costituzione, tanto più quando tale cartella non sia stata preceduta da un motivato avviso di accertamento (ex plurimis, Cass. n. 15638/04).

Peraltro, è evidente che una cartella priva di alcuna motivazione circa la pretesa erariale, che si limita a riportare dei dati numerici, dai quali risulterebbe una riduzione del credito d’imposta formatosi a seguito delle eccedenze degli anni precedenti, senza, però, che vi sia traccia delle ragioni per cui sarebbe stata operata tale riduzione, non può che risultare nulla.

In pratica, l’ente impositore illustra cosa ha fatto (recupero del credito d’imposta) ma non spiega perché lo ha fatto.

Tale omissione viola l’obbligo di motivazione previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, e riaffermato dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione agli atti tributari anche riscossivi.

Inoltre, è frequente il caso in cui, a fronte dell’eccepita carenza di motivazione, l’ufficio impositore si dilunghi nell’atto di controdeduzioni con la precisazione delle ragioni dell’iscrizione a ruolo. Tali elementi conoscitivi devono, però, essere forniti al contribuente ab origine inserendoli nell’atto amministrativo con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa (cfr. Cass. n. 1905/2007). E’ evidente pertanto che nessuna integrazione della motivazione è consentita in corso di giudizio.

Le superiori indicazioni, troppo spesso, risultano disattese dall’amministrazione finanziaria nelle cartelle di pagamento, anche nei casi della contestazione degli omessi versamenti: basti rilevare la ricorrente circostanza nella quale la motivazione è del tenore omesso/carente/tardivo versamento, fattispecie tutte diverse che richiederebbero, invece, una dettagliata spiegazione. E’ ben diversa infatti la circostanza dell’omesso versamento (che comporta la debenza dell’intera imposta, con relative sanzioni e interessi dalla data di scadenza del singolo pagamento) da quella del carente versamento (che richiederebbe di sapere l’entità del versamento originariamente dovuto da raffrontarsi con quello effettivamente eseguito, con la conseguente quantificazione di interessi e sanzioni da calcolarsi sul residuo dovuto) ovvero da quella del tardivo versamento (che impone un raffronto tra data di scadenza e quella di effettivo pagamento, con consequenziali sanzioni e interessi). Anche in tali circostanze l’obbligo di motivazione deve essere assolto nel rispetto dei presupposti di legge, così come ribaditi anche dalla giurisprudenza di legittimità.