15 Giugno 2016

La motivazione del provvedimento di convalida del sequestro

di Luigi Ferrajoli
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Con la sentenza n. 4567/2016, la Corte di Cassazione si è espressa in merito alla corretta individuazione, nell’ambito delle misure cautelari reali, dell’ammontare del profitto conseguito in seguito alla commissione di un reato tributario.

La vicenda traeva origine da un’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Perugia che, pronunciandosi nella qualità di giudice del rinvio in seguito all’annullamento di un’ordinanza del medesimo Tribunale, aveva confermato il decreto di sequestro preventivo emesso nei confronti di due soggetti indagati per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture emesse per operazioni inesistenti ex art. 2 D.Lgs. 74/2000.

In particolare, la condotta ascritta ai soggetti indagati consisteva nell’aver contabilizzato fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti allo scopo di creare elementi passivi fittizi atti ad abbattere l’imponibile, ragione che aveva indotto a procedere al sequestro preventivo sul patrimonio degli indagati per un importo pari all’ammontare dei costi ritenuti fittizi.

Tutta la questione giuridica ruota attorno al concetto di profitto del reato, con particolare riferimento alla sua corretta quantificazione in caso di sequestro per equivalente.

Tramite ricorso per Cassazione, gli indagati colpiti dalla misura cautelare reale davano evidenza dell’errore commesso dal Tribunale del Riesame che, non adeguandosi a quanto precedentemente disposto dalla Corte di Cassazione con il provvedimento di rinvio, aveva sostenuto che sul punto si era formato un giudicato formale e che l’emissione del decreto che dispone il giudizio precludeva la possibilità di sindacare in merito all’entità del profitto del reato poiché afferente al fumus commissi delicti.

In particolare, i giudici di merito avevano affermato che la valutazione dell’ammontare del profitto del reato era già stata oggetto di decisione assunta nel contraddittorio tra le parti, ragion per cui non vi sarebbe più stata la possibilità di sindacare in merito alla sua corretta entità.

La soluzione prospettata dal Tribunale, invero, non pare cogliere nel segno atteso l’evidente equivoco in cui sono incorsi i giudici del riesame i quali, nel caso di specie, sembrano aver identificato l’effettivo profitto del reato con la somma degli elementi passivi fittizi indicati nelle fatture emesse per operazioni inesistenti, elementi rilevanti ai fini del superamento della soglie di punibilità. Ed infatti, in base al ragionamento operato dai difensori, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente avrebbe dovuto essere rapportato all’ammontare delle imposte evase (maggiorate di sanzioni e interessi) le quali costituiscono il presunto vantaggio patrimoniale conseguito.

Tale assunto è stato avallato dai giudici di legittimità che, tramite la sentenza in commento, hanno rilevato che nel caso di specie il Tribunale del Riesame di Perugia aveva emesso un’ordinanza carente sotto il profilo motivazionale che aveva inevitabilmente determinato un’errata applicazione delle norme di diritto. Gli Ermellini hanno ricordato, infatti, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto non solo per il prezzo ma anche sul profitto del reato la cui nozione, non essendo contenuta in una specifica disposizione legislativa, è stata individuata dalla giurisprudenza di legittimità nel “vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato”.

Da ciò ne deriva che, nell’ambito dei reati tributari, il sequestro per equivalente deve riferirsi unicamente all’imposta evasa che, senza alcun dubbio, costituisce il vantaggio immediato conseguito in seguito alla commissione del reato di dichiarazione fraudolenta.

Dunque, nonostante risulti correttamente applicata la preclusione all’accertamento del fumus commissi delicti in seguito all’emissione del decreto che dispone il rinvio a giudizio, secondo la Cassazione il Tribunale aveva omesso di considerare che nei casi di frode fiscale e in tema di misure cautelari reali “spetta al giudice che, in sede di riesame, proceda alla conferma del sequestro preventivo funzionale alla confisca di valore del profitto del reato, il compito di valutare la corretta determinazione dell’entità di quest’ultimo”.

Per tale motivo, i giudici di legittimità hanno ritenuto di dover annullare con rinvio il provvedimento impugnato chiarendo che il giudice del riesame “non deve accertare, ai fini del rispetto del principio di proporzionalità, l‘esatta corrispondenza tra profitto del reato e quantum sottoposto a vincolo cautelare, essendo, invece, sufficiente che motivi sulla non esorbitanza dei beni sequestrati rispetto al credito garantito”.