28 Novembre 2015

La “fortuna” estera non sconta imposte in Italia

di Comitato di redazione
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Se un cittadino italiano vince delle somme mentre si trova in un casinò su suolo nazionale non deve versare alcuna imposta in proprio. Infatti, la casa da gioco sconta un’imposizione alla fonte, applicata sulla differenza tra le somme incassate per i giochi e quelle versate ai giocatori.

Pertanto, le vincite sono esenti dalle imposte sui redditi allo scopo di evitare la duplicazione dell’imposizione prima in capo alla casa da gioco e poi sul giocatore.

Diversamente, secondo il parere dell’Agenzia delle entrate, le vincite realizzate all’estero sono considerate come redditi diversi da dichiarare e su cui pagare le imposte sul reddito.

Di fatto, dunque, vi è una esenzione per le vincite realizzate in Italia ed imponibilità per quelle realizzate all’estero.

Il tema sembra essere tornato recentemente di attualità, per il semplice fatto che si è assistito ad una diffusione dei tornei di gioco da carte, di varia natura. Che accade, dunque, se un soggetto italiano si aggiudica un torneo tenutosi in un casinò estero?

La vicenda è stata oggetto di alcune recenti pronunce di merito che sembrano convergere verso un’unica soluzione.

La CTR di Perugia (sentenza n. 562/2015), è stata chiamata a decidere sull’appello presentato da un contribuente contro la sentenza di primo grado che aveva accolto (parzialmente) il suo ricorso avverso un avviso di accertamento che contestava la mancata dichiarazione di redditi diversi, in particolare un maggior imponibile derivante da vincite a competizioni di “poker sportivo” conseguite all’estero.

L’Agenzia delle entrate riteneva che le vincite conseguite all’estero per effetto della partecipazione a gare di poker sportivo rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 67, primo comma lett. d), Tuir e costituiscano reddito ai sensi del successivo articolo 69 per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione.

Il contribuente, nel ricorso introduttivo, lamentava la incompatibilità degli articoli 67 e 69 Tuir con le norme comunitarie, la illegittimità costituzionale dei medesimi articoli per violazione della capacità contributiva oltre al fatto che, anche i Paesi stranieri nei quali aveva realizzato la vincita, avrebbero provveduto ad una tassazione indiretta della vincita, pur in assenza del rilascio di certificazioni fiscali in tal senso.

Segnalava, inoltre, come il reddito eventualmente prodotto avrebbe dovuto essere qualificato come reddito di lavoro autonomo, trattandosi di giocatore professionista; pertanto, si sarebbe dovuta riconoscere la deduzione dei costi inerenti.

La Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto parzialmente il ricorso, annullando le sanzione irrogata.

I giudici Regionali rammentano che la questione in discussione è stata già valutata dalla Corte di Giustizia Europea; infatti, la CTP di Roma, chiamata a decidere fattispecie perfettamente identica alla presente, con ordinanze del 28 maggio 2013 ha proposto alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la seguente questione pregiudiziale: “Se l’assoggettamento ad obblighi dichiarativi ed impositivi a fini fiscali delle vincite conseguite presso case da gioco di Paesi membri dell’Unione Europea da persone residenti in Italia, come previsto dall’articolo 67, paragrafo 1, lettera d), del D.P.R. n. 917 del 1986, si ponga in contrasto con l’articolo 56 TFUE, oppure se sia da ritenersi giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, ai sensi dell’articolo 52 TFUE“.

La Corte di Giustizia, terza sezione, con sentenza del 22/10/2014 nelle cause riunite C-344/13 e C-367/143 ha dichiarato che: “Gli articoli 52 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro, la quale assoggetti all’imposta sul reddito le vincite da giochi d’azzardo realizzate in case da gioco situate in altri Stati membri, ed esoneri invece dall’imposta suddetta redditi simili allorché provengono da case da gioco situate nel territorio nazionale di tale Stato“.

Quindi, vi è esenzione per le vincite realizzate in Italia ed imponibilità per quelle realizzate all’estero.

Ciò ridurrebbe l’attività di spostamento da uno Stato all’altro per giocare, in quanto la suddetta normativa ha una funzione dissuasiva. Il fatto che le case da gioco siano soggette all’imposta non ne muta il carattere discriminatorio, in quanto detta imposta non è analoga all’imposta che colpisce le vincite provenienti dalla partecipazione dei contribuenti ai giochi d’azzardo in altri Stati.

Tale discriminazione, inoltre, non può ritenersi giustificata. La Corte, infatti, respinge la tesi che la norma italiana abbia lo scopo di prevenire il riciclaggio di capitali e simili, perché le Autorità di uno Stato membro non possono validamente presumere, in maniera generale e senza distinzioni, che gli organismi e gli enti stabiliti in un altro Stato membro si dedichino ad attività criminali.

In sostanza, la questione pregiudiziale viene superata dichiarando che “gli artt. 52 e 56 del TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro, la quale assoggetti ad imposta sul reddito le vincite di giochi d’azzardo realizzate in case da gioco situate in altri Stati membri, ed esoneri invece dall’imposta suddetta redditi simili allorché provengano da case da gioco situate nel territorio nazionale“.

Detto questo in relazione alla specifica ipotesi dei tornei di carte, bisognerebbe interrogarsi sul fatto che queste conclusioni possano estendersi anche alle altre vincite, connesse a lotterie e simili. In tal senso, invece, crediamo che tale disparità di trattamento non si verifichi, applicandosi la tassazione anche sulle vincite realizzate in Italia.