15 Luglio 2017

La disciplina sanzionatoria nelle esportazioni indirette

di EVOLUTION
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L’articolo 7 del D.Lgs. 471/1997 contiene la disciplina sanzionatoria applicabile, ai fini dell’Iva, ad alcune specifiche violazioni relative alle esportazioni.
Al fine di approfondire i diversi aspetti della materia, è stata pubblicata in Dottryna, nella sezione “Sanzioni”, una apposita Scheda di studio.
Il presente contributo analizza le sanzioni applicabili alle violazioni commesse nell’ambito delle esportazioni cosiddette “indirette” (o “improprie”).

Ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera b), del D.P.R. 633/1972, “costituiscono cessioni all’esportazione non imponibili … le cessioni con trasporto o spedizione fuori dal territorio [dell’Unione Europea] entro 90 giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto…”.

Per espressa previsione di legge rimangono escluse da questa disciplina le cessioni all’esportazione di beni destinati a dotazione o provvista di bordo di imbarcazioni o navi da diporto, di aeromobili da turismo o di altri mezzi di trasporto ad uso privato, nonché dei beni da trasportarsi nei bagagli personali fuori dal territorio dell’Unione.

In sostanza, questa particolare cessione all’esportazione presuppone innanzitutto che i beni siano consegnati al cessionario non residente, che in genere è un operatore economico e non un privato, all’interno del territorio italiano, rimanendo irrilevante la circostanza che questi risieda all’interno o al di fuori dell’Unione Europea (in sostanza, rileva solo che non risieda in Italia).

In secondo luogo occorre che il cessionario non residente curi il trasporto dei beni al di fuori del territorio unionale entro 90 giorni dalla consegna degli stessi, dovendosi far riferimento, per quanto concerne il dies a quo, al giorno risultante dal documento di trasporto (cd. “DDT”) di cui al D.P.R. 472/1996 o dalla lettera di vettura internazionale (cd. “CMR”) oppure, in mancanza, alla data di emissione della fattura.

Entro il predetto termine il venditore residente dovrebbe entrare in possesso della prova dell’avvenuta fuoriuscita dei beni dal territorio dell’Unione Europea ad opera del cessionario, al cui comportamento viene dunque in concreto rimessa la non imponibilità della vendita, prova che, stando alla lettera della norma, tuttora sembra consistere nella vidimazione apposta dall’ufficio doganale o dall’ufficio postale su un esemplare della fattura.

La ragione per cui viene ancora richiesto questo genere di prova, nonostante l’introduzione del tracciamento elettronico delle operazioni di esportazione in ambito unionale (cd. “Export Control System” – ECS), si rinviene nel fatto che, nelle esportazioni “indirette”, il soggetto esportatore è il cessionario non residente e non il cedente nazionale.

La procedura di esportazione, pertanto, viene attivata dall’operatore non residente, cui viene intestata la relativa bolletta doganale e a cui viene riferito in via esclusiva l’esito positivo di conclusione della procedura; al cedente nazionale non rimane quindi altro mezzo di prova se non il timbro doganale su un esemplare della propria fattura (che gli deve essere restituito dall’operatore estero).

Ad ogni modo, qualora il cedente nazionale non sia in grado di documentare il trasporto dei beni ceduti al di fuori del territorio dell’Unione entro 90 giorni, l’articolo 7, comma 1, del D.Lgs. 471/1997, prevede l’applicazione di una sanzione proporzionale compresa tra il 50% e il 100% dell’imposta dovuta considerando la vendita normalmente soggetta ad Iva, che deve essere comunque riversata dal cedente interno.

Per quanto attiene agli aspetti operativi concernenti la regolarizzazione, specie con riguardo alla modalità espositiva della cessione all’interno della dichiarazione Iva, si rinvia ai chiarimenti forniti con la circolare AdE 50/E/2002 (cfr. paragrafo 24.2).

Qualora il cedente nazionale, in mancanza della predetta prova, non provveda a regolarizzare il trattamento Iva dell’operazione, la violazione si intende commessa, in linea di principio, una volta decorso il termine complessivo di 120 giorni dalla data di consegna del bene, ferma restando la possibilità di ricorrere al ravvedimento operoso ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. 472/1997 (cfr. C.M. 23/1999, capitolo 2, paragrafo 3.1).

Tale principio, che presuppone la perentorietà del termine di 90 giorni, così come affermato nella sentenza della Corte di Cassazione 21956/2010, deve peraltro essere rivisto alla luce della fondamentale sentenza della Corte di Giustizia causa C-563/12, depositata il 19/12/2013, dove i Giudici europei, pur riconoscendo la possibilità di prevedere un termine entro cui verificare se un bene è uscito dal territorio dell’Unione, hanno enunciato il principio secondo cui una normativa nazionale che non consenta al soggetto passivo di dimostrare detta fuoriuscita oltre il termine di legge, e senza prevedere un diritto al rimborso dell’Iva, eccede l’obiettivo di contrasto all’evasione fiscale.

L’indirizzo espresso dai Giudici lussemburghesi è stato recepito, a livello di prassi nazionale, con la risoluzione AdE 98/E/2014, dove, nell’evidenziare l’aderenza al tessuto comunitario della disciplina sostanziale dell’articolo 8 del decreto Iva e della procedura di regolarizzazione dell’articolo 7, comma 1, del D.Lgs. 471/1997, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che:

  • “non è in linea con la decisione della Corte la soluzione di negare il beneficio della non imponibilità, nonostante sia possibile dimostrare l’uscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione, seppure dopo lo scadere del predetto termine, e di non consentire il recupero dell’Iva corrisposta in sede di regolarizzazione”;
  • il regime di non imponibilità si applica “sia quando il bene sia esportato entro i 90 giorni, ma il cedente ne acquisisca la prova oltre il termine dei 30 giorni previsto per eseguire la regolarizzazione, sia quando il bene esca dal territorio comunitario dopo il decorso del termine di 90 giorni … purché, ovviamente, sia acquisita la prova dell’esportazione”;
  • è inoltre possibile recuperare l’Iva nel frattempo versata ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del D.Lgs. 471/1997, sia utilizzando lo strumento della variazione in diminuzione dell’imposta ai sensi dell’articolo 26 del D.P.R. 633/1972, che presentando un’istanza “anomala” di rimborso ai sensi dell’articolo 21 del D.Lgs. 546/1992.

È evidente che, alla luce dell’interpretazione sopra proposta, l’operatività della sanzione in esame risulta molto attenuata, potendo il cedente nazionale fornire la prova dell’uscita dei beni anche in un momento successivo rispetto ai termini normativamente previsti.

Nella Scheda di studio pubblicata su Dottryna sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:

Iva nazionale ed estera