20 Giugno 2017

La clausola del beneficiario effettivo nelle convenzioni internazionali

di Marco Bargagli
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Come noto, la clausola del “beneficiario effettivo” presente nella quasi totalità degli accordi internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi stipulati tra l’Italia e gli altri Stati nel mondo, costituisce un valido strumento giuridico per arginare il fenomeno denominato “treaty shopping”.

Lo schema elusivo in rassegna si realizza interponendo, tra un soggetto fiscalmente residente in uno Stato contraente (es. l’Italia) ed un soggetto residente in un altro Stato (es. Paese extra-UE reale percettore dei flussi reddituali), una mera conduit company, ossia una società che non opera come beneficiario effettivo dei redditi ma è stata costituita, nell’ambito delle tipiche operazioni “back to back”, al solo scopo di ottenere un indebito risparmio fiscale, attraverso l’applicazione di un regime convenzionale non spettante che prevede l’esenzione o comunque l’indebita riduzione della ritenuta alla fonte prevista dalla normativa domestica (D.P.R. 600/1973).

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare 6/E del 30 marzo 2016, ha infatti confermato la sostenibilità delle contestazioni relative all’assenza della qualifica di “beneficiario effettivo” o la natura di interposto reale in capo ad un determinato veicolo societario, operate sulla base di un’analisi caso per caso ed avente ad oggetto, principalmente, la natura back to back dei finanziamenti, ad esempio in termini di importo, condizioni, tassi, termini di pagamento e clausole non recourse.

In tale contesto, le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi ispirate al modello OCSE, contengono specifiche clausole antiabuso necessarie a contrastare fenomeni di pianificazione fiscale internazionale e prevenire forme di “abuso convenzionale”.

Nello specifico, la “clausola del beneficiario effettivo” è presente nella gran parte dei trattati internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi stipulati dall’Italia con altri Paesi, nella Direttiva comunitaria n. 2003/49/CE (interessi canoni) e, simmetricamente, anche in talune disposizioni domestiche (es. articolo 26-quater del citato D.P.R. 600/1973).

Lo scopo della clausola è proprio quello di contrastare l’interposizione di un soggetto terzo (es. Alfa B.V. Olanda) tra l’erogante dei redditi (es. Beta S.p.A. residente in Italia) ed il beneficiario finale degli stessi (es. Gamma Inc. USA), al fine di sfruttare, indebitamente, la Convenzione bilaterale conclusa tra lo Stato della fonte (Italia) e lo Stato in cui è ubicato il soggetto interposto (Olanda), mentre il beneficiario effettivo dei redditi è localizzato in un Paese extra-UE.

Dopo varie modifiche ed integrazioni, l’edizione 2014 del modello OCSE di Convenzione (cfr. articoli 10, 11 e 12) e del relativo Commentario prevede, attualmente, che è considerato il beneficiario effettivo dei flussi reddituali, quando il percettore dei redditi gode del semplice diritto di utilizzo dei flussi reddituali (right to use and enjoy) e non sia, conseguentemente, obbligato a retrocedere gli stessi ad altro soggetto, sulla base di obbligazioni contrattuali o legali, desumibili anche in via di fatto (unconstrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another person).

Negli ultimi anni si è ingenerato un aspro contenzioso tra Fisco e contribuente, tenuto conto che l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che la società interposta spesso non opera come beneficiario effettivo degli interessi, dei dividendi e/o dei canoni percepiti in quanto, in rapida scansione temporale, i medesimi flussi reddituali vengono retrocessi ad altra società, sovente localizzata in ambito extra-UE o, comunque, in Paesi off-shore a fiscalità privilegiata.

In merito, le violazioni sono state mosse in quanto, proprio la Convenzione internazionale stipulata tra l’Italia e il Paese ove è localizzato il soggetto percettore (giudicato meramente interposto), riconosce la riduzione dal prelievo fiscale solo e soltanto se il medesimo reale percettore risulta essere il beneficiario effettivo del reddito.

Ciò detto, giova ricordare che nel panorama convenzionale di riferimento non tutti gli accordi bilaterali contengono la specifica clausola antiabuso del beneficial owner.

Sul punto, la convenzione stipulata tra l’Italia e l’Irlanda per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, ratificata con la L. 583/1974 non contiene, ad esempio, la clausola del beneficiario effettivo.

Infatti, esaminando l’accordo internazionale, possiamo rilevare che:

  • i dividendi pagati da una società residente di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente sono tassabili in detto altro Stato (Irlanda);
  • tuttavia, tali dividendi possono essere tassati nello Stato contraente di cui la società che li paga è residente (es. Italia), ed in conformità alla legislazione di questo Stato, ma l’imposta così applicata non può eccedere il 15 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi;
  • gli interessi provenienti da uno degli Stati contraenti e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente sono tassabili in questo altro Stato;
  • tuttavia, tali interessi possono essere tassati nello Stato contraente dal quale essi provengono, e in conformità della legislazione di questo Stato, a condizione che l’imposta così applicata non ecceda il 10 per cento dell’ammontare degli interessi stessi;
  • i canoni (royalties) provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente non sono tassabili che in detto altro Stato.

In modo del tutto analogo, anche la Convenzione internazionale stipulata tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica popolare ungherese tesa ad evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio ed a prevenire le evasioni fiscali, ratificata con la L. 509/1980 non contiene la clausola del beneficiario effettivo.

In definitiva, a parere di chi scrive, sarà più difficile per l’Amministrazione finanziaria muovere contestazioni in tema di treaty shopping, almeno a livello convenzionale, nelle transazioni reddituali che interessano l’Italia e, a titolo esemplificativo, l’Irlanda e l’Ungheria.

Tuttavia, quale generale clausola di salvaguardia antielusiva, potranno essere applicate le seguenti disposizioni anti-abuso:

  • articolo 10-bis della L. 212/2000 (recante la disciplina dell’abuso del diritto ed elusione fiscale);
  • articolo 26-quater del D.P.R. 600/1973 (qualora l’esenzione dalla ritenuta alla fonte sia operata in applicazione della Direttiva interessi – canoni n. 2003/49/CE del 3 giugno 2003, che a differenza delle due convenzioni sopra indicate, contiene la clausola del beneficiario effettivo);
  • articolo 27-bis, comma 5, del D.P.R. 600/1973, che contempla una clausola generica antiabuso (qualora l’esenzione dalla ritenuta alla fonte sia operata in applicazione della Direttiva madre – figlia n. 90/435/CE, a fronte del pagamento di dividendi).
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