24 Febbraio 2016

La Cassazione ribadisce la producibilità di nuovi documenti in appello

di Luigi Ferrajoli
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Nonostante l’approccio della giurisprudenza in materia di producibilità di nuovi documenti in appello – che riflette il dettato normativo dell’art. 58 del D.lgs. n.546/92 –, l’Agenzia delle entrate persiste nel formulare la contestazione di inammissibilità delle produzioni effettuate per la prima volta in appello dal contribuente stimolando la giurisprudenza di legittimità nella reiterazione di un orientamento che può dirsi ormai consolidato.

La controversia all’esame concerneva l’impugnazione di un avviso di liquidazione dell’imposta di registro per la revoca delle agevolazioni prima casa fruite dal contribuente in fase di acquisito di un immobile ritenuto dall’Ufficio avente caratteristiche di lusso ai sensi del D.M. 2 agosto 1969 in quanto la metratura sarebbe stata superiore al limite dei 240 mq previsto dall’art.6 del decreto ministeriale.

In sede di impugnazione il ricorrente aveva eccepito la illegittimità della rettifica per erroneità nel calcolo della superficie siccome l’Ufficio si era basato nella determinazione di questa sul dato catastale e per conseguente difetto di motivazione dell’avviso di liquidazione.

I giudici di primo grado rigettavano il ricorso della contribuente costringendola alla proposizione dell’appello.

L’esito del gravame ribaltava la decisione di primo grado avendo la Commissione Tributaria della Lombardia ritenuto che per mezzo della documentazione prodotta la contribuente avesse dimostrato che il calcolo della superficie utile fosse inferiore a mq 240, dovendo pertanto attribuirsi all’immobile la qualifica di immobile non di lusso.

In sede di appello la contribuente aveva infatti provveduto all’integrazione documentale delle produzioni effettuate in primo grado, depositando il modello unico informatico di accertamento della proprietà immobiliare e la visura catastale aggiornata dell’immobile de quo.

Proponeva ricorso per cassazione affidato a 4 motivi di diritto l’Agenzia delle entrate, lamentando, per quanto di interesse, la violazione e falsa applicazione dell’art. 57 D.Lgs. n.546/92 (ex art. 360 c.p.c., n. 4) e assumendo che con l’atto d’appello la contribuente avesse introdotto un nuovo tema d’indagine rispetto a quello oggetto dell’atto d’impugnazione dell’avviso di liquidazione dinanzi alla CTP di Brescia, con il quale, a dire dell’Amministrazione, la contribuente si sarebbe limitata a contestare l’erroneità del calcolo della superficie catastale come indicata dall’Amministrazione finanziaria a fondamento della pretesa impositiva nell’avviso di liquidazione.

In particolare, secondo la ricorrente, la contribuente, per mezzo della nuova documentazione allegata al gravame, avrebbe introdotto un nuovo tema d’indagine rilevando per la prima volta in quella sede che il parametro di riferimento ai fini dell’attribuzione della natura di lusso dell’immobile era quello della superficie utile complessiva, così incorrendo nella violazione dell’art. 57 del D.Lgs. n.546/92 che fa espresso divieto di proporre nuovi motivi in appello, con la conseguenza che il motivo avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile dal giudice di merito.

Esaminando il ricorso, la Corte di Cassazione contesta l’assenza di autosufficienza del motivo proposto dall’Agenzia delle entrate a causa della mancata riproposizione, anche in sintesi, del contenuto del ricorso di primo grado che consentisse la comparazione con l’atto di appello per verificare se, come dedotto dalla ricorrente, effettivamente la contribuente avesse in quella sede per la prima volta introdotto il riferimento al concetto della superficie utile complessiva quale parametro – peraltro corretto (non omette di precisare la Corte) – per determinare l’attribuzione o meno della caratteristica di lusso all’unità immobiliare in questione.

Chiarita poi l’assenza di motivi nuovi introdotti in appello e, dunque, concluso per l’infondatezza del motivo sollevato dall’Amministrazione, la Corte coglie l’occasione per precisare oltremodo che “i nuovi documenti prodotti nel secondo grado di giudizio allegati al ricorso in appello fossero funzionali a supportare, sul piano probatorio, un’eccezione nuova, se ne deve ritenere legittima la produzione in appello in conformità ad indirizzo costante della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “in materia di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima, non trova applicazione la preclusione alla produzione documentale di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, potendo le parti provvedervi anche per documenti preesistenti al giudizio di primo grado” .

Con tale conclusione la Corte, conformandosi a cospicua e precedente giurisprudenza di legittimità pienamente conforme alla pronuncia in esame, riafferma il noto brocardo latino lex specialis derogat generali, sebbene si ritenga che nella fattispecie la previsione speciale debba ritenersi piuttosto quella dell’art. 58 che espressamente consente la produzione di nuovi documenti in appello, nonostante l’Agenzia abbia esperito il tentativo, invero fallito, di ricondurre la fattispecie nell’ambito delle preclusione di cui all’art. 57 del D.Lgs. n.546/92.