22 Novembre 2013

Inno al garante per la protezione dei dati personali

di Giovanni Valcarenghi
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Ieri si è conclusa, con l’emanazione del documento web n. 2765110, l’analisi del Garante per la protezione dei dati personali sui documenti e sulle procedure predisposte dall’Agenzia delle entrate per l’avvio degli accertamenti da nuovo redditometro. Il risultato potrebbe essere rappresentato simpaticamente con una ola dei contribuenti, in quanto demolisce in modo sostanziale le metodologie, gli strumenti e la prassi sino ad ora predisposta.

Sia ben chiaro, il Garante non ha bocciato il redditometro (né, forse, potrebbe farlo), ma ha evidenziato una serie di evidenti malfunzionamenti e di violazioni alle norme sul Codice dei dati personali da far rabbrividire i puristi. In maniera del tutto sintetica, e più pragmaticamente, mi limito a dire che il Garante ha di fatto cancellato la possibile influenza dei dati della spesa media ISTAT nel processo di ricostruzione sintetica del reddito, tanto in fase di selezione (circostanza già acclarata dalla stessa Agenzia) quanto in fase di contraddittorio e successivo accertamento.

La lettura del documento allegato è, a mio giudizio, assolutamente consigliabile, in quanto fornisce una ricostruzione precisa della vicenda, contribuendo a chiarire le motivazioni di alcuni comportamenti dell’Agenzia delle entrate, apparsi a dir poco buonisti. Ricordate, nei mesi scorsi, la comparsa “improvvisa” di una sorta di franchigia di 12.000 euro che era stata paventata da alcuni funzionari dell’amministrazione? Bene, ora ci leviamo lo sfizio di sapere che (con tutta probabilità) quel numero nasceva da una simulazione richiesta dal Garante sui dati detenuti dall’Agenzia, in forza dei quali non risultavano coerenti circa 20.000.000 di contribuenti, di cui circa 17.000.000 compresi nella fascia discostamento tra 0 e 12.000 euro.

Altri numeri messi nero su bianco contribuiscono a convalidare l’idea di un panorama molto distorto che ci è stato “venduto” sino ad oggi: secondo le elaborazioni dell’Agenzia (poi corrette strada facendo) risulterebbe che l’Italia è un paese composto da circa 34.000.000 di famiglie single (monocomponente), su un totale di 48.000.000 di famiglie. Evidentemente, siamo un popolo di persone sole! Peccato che dai dati ISTAT del 2009 e del censimento del 2011 in Italia risultino solo 25.000.000 di famiglie: che si tratti di fenomeno di moria di massa? Estinzione massiva delle famiglie, forse a causa del Fisco?

Consolante è anche il fatto che si siano individuati anche dei dati palesemente errati in relazione a quelle spese che il DM del 24.12.2012 qualifica come “certe” (per fortuna!); cosa di poco conto, tranquilli, visto che letteralmente si tratta di importi relativi ad investimenti o premi assicurativi decuplicati o centuplicati a causa dell’errata aggiunta di uno o più zeri, ovvero di lunghezza di imbarcazioni errata con conseguente aumento anche delle spese che valorizzano il bene posseduto ed il relativo mantenimento.

Allora, che si fa? Tutto a monte? No, nulla di tutto questo, ma solamente granitiche prescrizioni di adattamento indicate alle Entrate:

  • cautele sul trattamento automatizzato e sulla profilazione del contribuente;
  • miglioramento della qualità dei dati in relazione alla tipologia di famiglia fiscale ed al fitto figurativo;
  • cautele sulla detenzione dei dati (alcuni dei quali andranno rimossi dai server entro 6 mesi) e sulla informativa da fornire ai contribuenti anche, e soprattutto, sul modello di invito al contraddittorio.

Trascurando le questioni tecniche sulla privacy, il parere del Garante appare a mio giudizio altamente condivisibile (paragrafo G) nella parte in cui sbriciola la forza dei dati delle spese medie ISTAT, affermando esplicitamente due concetti:

  1. delle spese ricorrenti e non censite il contribuente non dovrà rendere conto né in fase preliminare né in fase di successivo contraddittorio; diversamente, il medesimo sarebbe esposto ad una forte invasione della propria sfera privata, trovandosi lo stesso obbligato a dover giustificare di aver o, soprattutto, non aver sostenuto certe tipologie di spesa, anche relative alle sfere più intime della personalità (…) e portare a conoscenza nel dettaglio il funzionario dell’Agenzia del proprio stile di vita. Diversamente, riscontra il Garante, l’ammontare medio della spesa mensile sarebbe, a prescindere, di circa 900 euro;
  2. la presenza di informazioni relative a scostamenti reddituali per i soli dati certi e connessi ad elementi certi, suggerisce l’esistenza di circa 1.500.000 di posizioni sospette, a fronte di una capacità accertativa di circa 35.000 – 40.000 posizioni l’anno. Quindi, ci si concentri su quelle e si trascurino i dati della spesa media ISTAT.

In conclusione, facendo tesoro delle indicazioni del Garante, chiudo formulando una amara considerazione: quanto sarà costata, direttamente ed indirettamente, l’intera partita del redditometro, prima ancora che siano partiti gli accertamenti? Per una volta, ma bisogna pur cominciare, si badi al sodo e si vadano a perseguire le posizioni di rilevante evasione sospetta; ne avremmo tutti da guadagnare (compresi i consumi)!