30 Settembre 2013

Indagini finanziarie ed induttivo: valido l’accertamento con il riconoscimento dei costi

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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Il delicato tema delle indagini finanziarie e della loro traduzione in un avviso di accertamento è stato affrontato da una interessante sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso (n. 751/1/13 del 16 maggio 2013).

I Giudici hanno riconosciuto la validità dell’operato dell’Ufficio, che, attesa l’impossibilità di procedere ad un riscontro documentale, ha fatto ricorso alle risultanze delle movimentazioni dei conti correnti, procedendo all’emissione di un avviso di accertamento in cui al contribuente viene riconosciuta anche una percentuale di c.d. costi occulti.

Il contenzioso de quo nasce dalla omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, circostanza ad affermazione di parte dovuta ad un evento fortuito quale l’allagamento dei locali aziendali che aveva comportato lo smarrimento della documentazione contabile. Un simile evento, però, non impedisce all’amministrazione finanziaria di procedere a controlli di tipo “induttivo”, come espressamente previsto dall’art.39, secondo comma, del D.P.R. 600/1973, posto che altrimenti lo smarrimento della contabilità, anche magari “indotta”, potrebbe rappresentare un facile escamotage per sottrarsi alle attenzioni del fisco quando le vicende aziendali non sono propriamente regolari.

I giudici interpellati non hanno sindacato la veridicità del caso fortuito rappresentato dal ricorrente, ma non hanno potuto fare a meno di rilevare che comunque l’Agenzia delle entrate era legittimata al ricorso all’accertamento induttivo puro. Detto accertamento, peraltro, è stato operato sulla base delle risultanze dei conti correnti del contribuente, rispetto ai quali erano state richieste spiegazioni circa le operazioni ritenute sospette, sia in ordine ai versamenti, pari a 492.238,00 euro, che ai prelevamenti di 441.279,00.

A fronte di ciò il contribuente non solo non ha dato esito all’invito dell’Ufficio in fase preaccertativa, ma anche in sede contenziosa non è riuscito ad effettuare un adeguato riscontro documentale, con ciò consolidandosi la presunzione normativa di cui all’art. 32 del D.P.R. 600/1973, ossia che le predette movimentazioni possono validamente rappresentare ricavi.

Dovendo tener conto che in adesione ai principi costituzionali, come rappresentati dalla sentenza della Corte Costituzionale 8.6.2005, n. 225(secondo cui, per rendere equa ex art. 53 della Costituzione la pretesa fiscale anche nella ricostruzione induttiva, occorre sempre tener conto della incidenza percentuale dei costi), l’Ufficio procedente ha appunto riconosciuto la percentuale di costi dell’86,5% rispetto al totale dei movimenti finanziari non giustificati. In sostanza sono state seguite le indicazioni della circolare n. 32/E del 2006 e, nell’ambito della ricostruzione induttiva, l’Agenzia ha applicato la percentuale di redditività media dichiarata dal contribuente nelle annualità contigue a quelle accertate.

Nel caso esaminato non può che riscontrarsi come vi sia stata la totale applicazione delle cautele minime rispetto ad un accertamento fiscale dalle elevate potenzialità quale quello finanziario. Non sempre così avviene, come risulta dalle diverse casistiche segnalate anche dai colleghi. Nel caso di specie, laddove si fosse proceduto senza tenere in considerazione i c.d. costi occulti, sulla base della normativa attualmente vigente e optando per un accertamento analitico o analitico induttivo, i risultati reddituali sarebbero stati oltremodo elevati: a fronte di un maggior reddito determinato nella misura di 126.025,00 euro (13,5% dei movimenti sospetti pari a 933.517,00 euro), l’Ufficio avrebbe potuto limitarsi al recupero dei soli versamenti, non riconoscendo costi (nell’accertamento analitico i costi possono essere riconosciuti se ricorrono gli estremi dell’articolo 109, comma 4, del Tuir), determinando così a titolo di reddito un pari importo di 492.238,00 euro. Per non parlare delle casistiche “assurde” in cui addirittura si procede al recupero reddituale dell’intero importo dei movimenti non giustificati: è rispetto a simili evenienze che l’accertamento acritico fondato sulle indagini finanziarie conduce a risultanze contrarie ai principi costituzionali, ravvisandosi l’urgenza di un intervento del legislatore soprattutto per disciplinare l’onere probatorio in riferimento ai prelevamenti e stabilire la necessità di riconoscere comunque i costi occulti anche negli accertamenti diversi da quello induttivo.

Va segnalato, infine, che la sentenza in argomento è adeguatamente motivata. Non soltanto si illustra la correttezza del ricorso all’accertamento induttivo e del metodo applicato dagli accertatori, ma si rimarca come in sede contenziosa comunque il contribuente ha la piena facoltà, per quanto concerne le indagini finanziarie, di dare contezza dei movimenti in discussione, ricorrendo a dichiarazioni di terzi per quanto concerne i versamenti ed indicando i beneficiari dei prelevamenti. Non avendo il soggetto accertato effettuato ciò, non vi era altra possibilità per i giudici se non quella di considerare infondato il ricorso. Riscontrando infine che non si può semplicemente procedere, sui conti personali, ad effettuare una differenza tra movimenti in entrata e in uscita: quelli in uscita, infatti, non rappresentano necessariamente costi dell’attività, potendo essere infatti destinati ad utilizzi privati. Al contribuente spetta l’onere di dimostrare che i prelevamenti non devono affatto considerati nel computo: se ciò non accade l’operato dell’Ufficio non può essere biasimato.