25 Febbraio 2014

Il rispetto dei 60 giorni per l’emissione dell’accertamento: quando l’operato del fisco è valido

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18184 del 2013, hanno delineato il principio di diritto applicabile in relazione all’articolo 12, comma 7, della Legge 212/00, ossia lo Statuto del Contribuente. Tale disposizione, come noto, afferma che tra la data di consegna del processo verbale di constatazione e l’emanazione dell’avviso di accertamento devono intercorrere 60 giorni, necessari per la valutazione dei rilievi contenuti nel PVC. Tale lasso temporale serve soprattutto a garantire al contribuente l’adeguato vaglio delle contestazioni mosse e può essere derogato solo al ricorrere di comprovati motivi di urgenza che determinano l’emissione anticipata dell’avviso di accertamento.

In tali termini si è espressa la Suprema Corte: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio”.

In termini pratici:

1) L’avviso di accertamento non può essere emanato prima del decorso dei 60 giorni, salvo che ricorrano motivi d’urgenza;

2) Se è emanato in data antecedente, l’atto è di per sé illegittimo;

3) I motivi d’urgenza che giustificano l’emissione anticipata non devono essere enunciati nell’atto ma devono essere provati dall’Ufficio accertatore.

Sul tema sono sopraggiunte, ad inizio di febbraio 2014, ben 4 sentenze della Corte di Cassazione che hanno analizzato le casistiche in cui possono dirsi ricorrenti i “motivi di urgenza” richiesti dal legislatore, concludendo in un solo caso in senso favorevole all’Amministrazione Finanziaria. Letteralmente “annichilita” è invece la mera casistica collegata al decorrere dei termini per l’emanazione dell’avviso di accertamento, circostanza che a parere dei Supremi Giudici non può mai rappresentare un “motivo d’urgenza”, dovendo invece essere l’Ufficio procedente attento a rispettare il dettato del legislatore e a non violare le garanzie poste a tutela del contribuente. Andiamo con ordine. La sentenza n. 2595, depositata il 5 febbraio 2014, è forse la più soft, in quanto si limita ad appurare sul piano temporale la non ricorrenza dei motivi d’urgenza consistenti nel presunto scadere dei termini di accertamento: si sottolinea, infatti, che i termini accertativi sarebbero scaduti al 31 dicembre, mentre l’avviso di accertamento era stato emesso in data 13 luglio, laddove sarebbe stato sufficiente attendere il 18 agosto per soddisfare il requisito normativo dei 60 giorni. Per come è scritta, sembra quasi che detta sentenza consenta, in linea di principio, l’emanazione di un accertamento anticipato se tra la data di consegna del PVC e quella di scadenza dei termini intercorrano meno di 60 giorni.

Questa posizione, invece, non è condivisa e a sgombrare ogni dubbio provvede anzitutto la sentenza n. 3142 del 12 febbraio scorso, particolarmente corposa, che in maniera significativa afferma: “Non è sufficiente, pertanto, ad assolvere l’onere della prova che grava sull’Amministrazione Finanziaria la mera allegazione dell’impedimento costituito dall’imminente scadenza del termine di decadenza dell’atto impositivo, ma occorre altresì la prova che la circostanza in questione non sia determinata da fatto imputabile alla PA (…)”. Il caso, in particolare, riguardava una verifica chiusa al 20 dicembre con successivo immediato accertamento datato 27 dicembre. Sulla stessa falsariga si pone la sentenza n. 2279 del 3 febbraio 2013, che evidenzia come sia obbligo dell’Ufficio attivarsi tempestivamente per effettuare i controlli nel rispetto del dettato dell’articolo 12, comma 7, della Legge 212/00, non potendo affatto accettare la tesi “dell’imminente scadenza dei termini”, in quanto ragionando in tal modo “(…) si verrebbero a convalidare, in via generalizzata, tutti gli atti in scadenza, in contrasto al principio (…) secondo cui il requisito dell’urgenza deve essere riferito alla concreta fattispecie e, cioè, al singolo rapporto tributario controverso”.

Solo nella sentenza n. 2587 del 5 febbraio 2014 si è registrata una posizione favorevole della Cassazione, laddove però sono conclamati i “motivi d’urgenza”, non coincidenti con la scadenza dei termini d’accertamento, bensì rinvenibili nelle reiterate condotte penali tributarie del contribuente sottoposto ad accertamento. Secondo i Supremi Giudici tali comportamenti costituiscono “(…) in astratto, un indubitabile e valida ragione d’urgenza atta a giustificare la notifica dell’atto impositivo (…) tanto più nel quadro della situazione, emersa dal verbale di verifica, della supposta partecipazione della società contribuente ad un’organizzata frode ai danni dell’Erario che è accuratamente descritta nella narrativa della sentenza (…)”. In particolare, sottolinea la sentenza, avrebbe dovuto essere il giudice di merito ad evidenziare che tali motivi d’urgenza non ricorrevano nel caso specifico: non essendo ciò avvenuto, il motivo d’urgenza avanzato dall’Amministrazione Finanziaria resta valido. In conclusione, dalle commentate sentenze possono derivarsi alcuni principi ormai consolidati:

1) La scadenza dei termini dell’accertamento non rappresenta un valido motivo d’urgenza, salvo che ciò non sia dipeso per fatto non addebitabile alla P.A.;

2) Laddove siano rappresentati astratti motivi d’urgenza, sarà onere dell’organo giudicante appurare se gli stessi sono o meno riferiti alla “concreta fattispecie, ossia al singolo rapporto tributario controverso”.