2 Febbraio 2015

Il punto sul doppio binario penale-tributario

di Luigi Ferrajoli
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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20266 del 15.05.2014, è tornata ad occuparsi del rapporto intercorrente tra il sistema penale e quello tributario.

Nel caso di specie, il Giudice di legittimità è stato chiamato a pronunciarsi in tema di omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, ai sensi dell’art. 10 bis del D.Lgs. n. 74/2000.

In particolare, a seguito di assoluzione dell’imputato con la formula “perché il fatto non costituisce reato” pronunciata dal Tribunale di prime cure, la Procura Generale ha proposto ricorso avanti la Suprema Corte ai sensi dell’art. 606, lett. b), c.p.p., per erronea applicazione della citata fattispecie incriminatrice e dell’art. 43 c.p., evidenziando che il reato de quo si caratterizza sotto il profilo psicologico per la presenza del dolo generico, consistente nella consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti.

La difesa, richiamando la sentenza del 04.03.2014 della Corte Europea dei diritti dell’uomo, ha evidenziato che, essendo stato l’imputato già condannato in sede amministrativa al pagamento dell’imposta evasa, comprensiva degli interessi e delle sanzioni, si verserebbe nell’ipotesi di “ne bis in idem”, per identità dell’oggetto tra il procedimento amministrativo e quello penale.

Il ricorso avanzato dalla Procura Generale è stato accolto dalla Cassazione, che ha innanzitutto avuto modo di osservare come “a fronte del processo penale per reati tributari, è pacifico che lo stesso viaggi in parallelo con l’esistenza di un debito tributario da adempiersi, che è cosa diversa dalla sanzione penale”.

Il richiamo alla sentenza della Corte Europea è stato quindi ritenuto infondato nel caso di specie, con riferimento all’indirizzo seguito dalla Corte di Giustizia proprio in tema della portata del principio codificato dal brocardo “ne bis in idem”, per cui “l’azione penale nei confronti di un contribuente accusato di frode finanziaria aggravata può essere accompagnata anche da sanzioni fiscali”.

Dunque, in via generale è possibile che, in presenza di fattispecie di diritto diverse, siano perfettamente configurabili sovrattasse e sanzioni penali.

L’unico limite nell’assoggettamento, per lo stesso caso, sia a sanzioni fiscali, sia a sanzioni penali, consiste nell’obbligo di considerare la qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale e di valutare la natura del medesimo e il grado di severità della sanzione.

Nel caso che ci occupa, le sanzioni tributarie sono state ritenute dalla Suprema Corte rispondenti ai criteri sopra individuati.

Più specificamente, nella sentenza in esame, vi è specifico richiamo alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 37425 del 28.03.2013 con la quale è stato affermato che il reato di omesso versamento di imposte “non si pone in rapporto di specialità ma di progressione illecita con il D. Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1, che punisce con la sanzione amministrativa l’omesso versamento periodico delle ritenute alla data delle singole scadenze mensili, con la conseguenza che al trasgressore devono essere applicate entrambe le sanzioni”.

Peraltro, come sottolineato dalla Corte di Cassazione, nel nostro ordinamento i rapporti tra il sistema sanzionatorio amministrativo e tra i procedimenti penale e tributario sono disciplinati dagli artt. 19, 20 e 21 del D. Lgs. n. 74/2000.

L’articolo 13 del medesimo decreto, sottolinea la Suprema Corte, prendendo in considerazione i rapporti tra pagamento del debito tributario e reato di natura tributaria, prevede inoltre la speciale circostanza attenuante della diminuzione delle pene previste per i reati contemplati e la mancata applicazione delle pene accessorie indicate nell’art. 12 qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti stessi siano estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.

Il secondo comma del citato articolo prevede espressamente che il menzionato pagamento deve comprendere necessariamente anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie, sebbene non applicabili all’imputato a norma dell’art. 19, comma 1.

Su queste basi, la Cassazione ha ritenuto inconferente l’affermazione, da parte della difesa, dell’esistenza di un “ne bis in idem” nel caso di specie, ritenendo viceversa fondata l’impugnazione svolta dalla Procura Generale.