10 Gennaio 2015

Il passaggio del bene alla sfera d’impresa dell’ente salva la rivalutazione

di Alessandro Bonuzzi
Scarica in PDF

Sono stati riaperti i termini per rideterminare il valore dei terreni e delle partecipazioni non quotate. Possono beneficiare dell’opzione anche gli enti non commerciali limitatamente però ai beni posseduti nella sfera istituzionale. Nel particolare caso di passaggio alla sfera d’impresa, se appena prima l’ente procede a rivalutare il terreno o la partecipazione, appare ragionevole ritenere che il nuovo valore rimanga “valido”, assumendo, pertanto, una rilevanza sostanziale.

La Legge di Stabilità 2015, modificando il disposto dell’art. 2, comma 2, del D.L. n. 282/2002, che a sua volta rinnovava quanto contenuto negli articoli 5 e 7 della Legge n. 448/2001, ha riaperto i termini per rideterminare il valore dei terreni e delle partecipazioni non quotate detenute da enti non commerciali nella propria sfera istituzionale alla data del 1 gennaio 2015.

Il nuovo valore deve risultare da un’apposita perizia di stima redatta da un professionista e asseverata entro il 30 giugno 2015. Inoltre, affinché la rivalutazione possa considerarsi perfezionata, occorre provvedere al versamento dell’imposta sostitutiva o della prima rata entro la medesima data in misura pari al 4 per cento, per le partecipazioni che al 1 gennaio 2015 risultavano non qualificate, e all’8 per cento, per i terreni e le partecipazioni che al 1 gennaio 2015 risultavano qualificate, dell’intero valore rideterminato.

La rideterminazione del valore dei beni ha effetto sulla determinazione della plusvalenza imponibile, quale reddito diverso, ai fini delle imposte dirette che si generebbe in capo all’ente in ipotesi di vendita. Quindi l’obiettivo è quello di creare una condizione di vantaggio per quei soggetti che detengono partecipazioni o aree edificabili con elevati plusvalori latenti e che hanno intenzione di cederle.

Per quanto riguarda gli enti non commerciali, questi sono caratterizzati dallo sdoppiamento tra sfera d’impresa e sfera estranea all’attività commerciale; ciò ne determina, sotto certi aspetti, l’assimilazione all’imprenditore individuale. Il passaggio di terreni e partecipazioni da un’attività all’altra dell’ente non può che costituire, ai fini fiscali, un’ipotesi di realizzo, in quanto i beni vengono immessi nel regime del reddito d’impresa.

In tal senso, l’operazione dovrebbe venire considerata fiscalmente come un conferimento e trattata ai fini delle imposte dirette alla stregua dei redditi diversi ai sensi degli artt. 67, 68 e 9 – quest’ultimo rileva, sia per la determinazione del corrispettivo, sia per l’assimilazione del conferimento alla cessione – del Tuir; in particolare, potrebbero emergere plusvalenze imponibili se venissero trasferiti:

  • terreni agricoli entro i cinque anni;
  • partecipazioni o aree edificabili.

Tuttavia, se è ragionevole ritenere che, ai fini della qualificazione dell’eventuale reddito emergente, per effetto del passaggio del bene nella sfera d’impresa, rilevi quanto previsto dall’art. 67, con riferimento alla determinazione del corrispettivo e della quantificazione della possibile plusvalenza imponibile come reddito diverso, e quindi della valorizzazione del bene in capo all’impresa, potrebbe non essere altrettanto condivisibile l’applicazione degli artt. 68 e 9. Ciò in quanto, per espresso rimando fatto dal comma 3 dell’art. 144 del Tuir, la disposizione di riferimento a tali fini potrebbe essere il comma 3-bis dell’art. 65 del Tuir. Tale norma stabilisce che i beni (mobili e immobili) dell’impresa svolta dall’ente non commerciale, che al contempo siano strumentali ed ammortizzabili, provenienti dalla sua sfera istituzionale, assumono quale costo fiscalmente rilevante il costo determinato in base al costo d’acquisto e in via residuale, solo per i beni mobili non registrati, al valore normale se il costo d’acquisto non è documentato, da iscrivere tra le attività relative all’impresa nell’inventario.

Le partecipazioni e i terreni, ancorché strumentali, non sono però ammortizzabili; quindi, in ipotesi di passaggio in regime d’impresa, il relativo costo fiscale non potrebbe essere comunque determinato con le modalità previste dal comma 3-bis dell’art. 65 del Tuir.

Appare, pertanto, ragionevole la tesi secondo la quale il valore di carico sia individuabile in base al valore normale ai sensi dell’art. 9 e che, quindi, l’eventuale plusvalenza emergente sia determinabile, come differenza tra tale valore e il costo d’acquisto originario, ai sensi dell’art. 68.

Ne deriva che, nell’ipotesi in cui l’ente procedesse a rideterminare il valore del terreno o della partecipazione appena prima di procedere al trasferimento dei beni nella sfera d’impresa, il valore rivalutato rimarrebbe “valido” e assumerebbe una rilevanza sostanziale (e la rideterminazione non verrebbe “sprecata”); in particolare:

  • si dovrebbe adottare quale costo fiscale del bene quello rivalutato;
  • il valore rivalutato, in linea di massima, coinciderebbe con il valore normale assunto dal bene all’atto del passaggio;

pertanto:

  • non dovrebbe sorgere, con riferimento alla sfera istituzionale dell’ente, alcuna plusvalenza imponibile, e
  • il valore di carico rilevante ai fini dell’impresa da indicare nell’inventario dovrebbe coincidere con il valore rideterminato.

Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate non sembra condividere tale interpretazione; infatti a parere dell’Ufficio il trasferimento di titoli dalla sfera istituzionale a quella commerciale non configura, in capo alla prima, il presupposto richiesto dall’art. 67 del Tuir per il realizzo della plusvalenza. Pertanto, tenuto conto che “la valorizzazione al valore normale creerebbe un salto d’imposta nell’ipotesi in cui tale valore fosse superiore al costo, l’operazione deve considerarsi elusiva in quanto genera un risparmio d’imposta che contrasta con i principi dell’ordinamento e non è supportata da valide ragioni economiche” (Risoluzione n. 242/E/2002).