3 Agosto 2015

Il luogo della cessione nelle triangolazioni comunitarie “improprie”

di Marco Peirolo
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Tra le operazioni in triangolazione che hanno formato oggetto di uno specifico chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria è interessante esaminare quella in cui operatore economico italiano acquista i beni da un soggetto comunitario non residente al quale dà l’incarico di consegnarli direttamente al proprio cliente extracomunitario.

Secondo la C.M. 23 febbraio 1994, n. 13-VII-15-464 (§ B.16.3), l’intera operazione non rileva ai fini del pagamento dell’IVA nel territorio dello Stato, in quanto la cessione all’esportazione viene eseguita a partire da un altro Paese comunitario (nella specie, quello del fornitore dell’operatore nazionale).

Rispetto all’Italia, infatti, il soggetto italiano, non effettua né un acquisto intracomunitario, in quanto i beni non hanno, come destinazione finale, un altro Stato membro, né una cessione all’esportazione, in quanto i beni non si trovano in Italia nel momento del trasporto/spedizione a destinazione del cessionario finale extracomunitario.

Alla luce del criterio territoriale di cui all’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, non dovrebbero sussistere particolari dubbi in ordine al fatto che la cessione all’esportazione si considera territorialmente rilevante nel Paese UE del fornitore e che, pertanto, il soggetto italiano sia ivi tenuto ad identificarsi ai fini IVA per l’adempimento degli obblighi connessi a tale operazione.

A favore di una diversa soluzione, cioè emissione di fattura non imponibile IVA direttamente da parte dell’impresa italiana, potrebbe osservarsi che la prassi amministrativa ha, in più occasioni, chiarito che la qualificazione di un’operazione come cessione all’esportazione è oggettiva, siccome prescinde dal luogo di partenza dei beni. Ciò che conta, in altri termini, è che la merce sia effettivamente destinata verso un Paese extracomunitario, senza che assuma rilevanza il Paese, situato all’interno della UE, dal quale viene operato il trasferimento (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 20 dicembre 2010, n. 134, confermata dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate 29 luglio 2011, n. 37, § 5).

Invero, la fattispecie presa in considerazione dall’Agenzia riguarda l’ambito applicativo della non imponibilità IVA prevista per i trasporti e i servizi di spedizione relativi a beni in esportazione, importazione e transito, comprese le relative prestazioni di intermediazione. Dato allora che, nei rapporti “B2B”, i trasporti di beni e le relative intermediazioni, in quanto prestazioni “generiche”, sono territorialmente rilevanti in Italia se il committente è un soggetto passivo ivi stabilito, tali operazioni – se acquistate da soggetti IVA italiani – si considerano effettuate nel nostro territorio anche se i beni sono esportati a partire da un altro Paese membro.

Va da sé, quindi, che se l’operazione considerata, anziché essere un trasporto di beni, è una cessione all’esportazione, il relativo trattamento di non imponibilità si applica altrettanto oggettivamente, ma avendo riguardo al luogo di effettuazione della cessione, che coincide con il territorio di partenza dei beni, individuato nel momento iniziale del trasporto/spedizione (art. 32 della Direttiva n. 2006/112/CE).

Ne consegue che la cessione all’esportazione eseguita a partire da un altro Paese membro, non essendo territorialmente rilevante in Italia, non può essere fatturata direttamente dall’impresa italiana in regime di non imponibilità ex art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972. La fattura deve essere, invece, emessa, senza addebito d’imposta, dalla posizione IVA previamente “accesa” in tale Paese membro secondo la procedura dell’identificazione diretta o per mezzo della nomina di un rappresentante fiscale.

Riguardo, invece, alla cessione posta in essere dal fornitore comunitario nei confronti del soggetto italiano, è opportuno chiedersi se quest’ultimo debba attendersi una fattura con addebito dell’IVA locale o se l’acquisto debba essere assoggettato a reverse charge dall’operatore nazionale.

La soluzione si desume dalla stessa C.M. n. 13-VII-15-464/1994 (§ B.16.3), in riferimento alla triangolazione, identica a quella in esame, in cui però l’operatore italiano, anziché essere il promotore della triangolazione, è il primo cedente.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, la cessione posta in essere dall’operatore italiano non presenta le caratteristiche proprie delle operazioni intracomunitarie, venendo meno una delle prerogative principali, vale a dire la destinazione – immediata o, comunque, finale – dei beni in altro Stato membro. Di conseguenza, l’operatore nazionale, nei confronti del proprio cliente comunitario non residente, effettua una cessione all’esportazione, non imponibile ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. a) o b), del D.P.R. n. 633/1972, ovvero una cessione “interna”, se i beni vengono consegnati in Italia direttamente al destinatario finale svizzero.

Ritornando alla triangolazione oggetto di esame, è dato pertanto ritenere che il soggetto italiano non è tenuto ad applicare il meccanismo di reverse charge di cui all’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, in quanto il proprio fornitore deve emettere nei suoi confronti una fattura che, se non contiene l’addebito dell’IVA, è solo perché la cessione beneficia del regime di non imponibilità previsto per le esportazioni.