21 Ottobre 2014

Il giudice tributario può rideterminare autonomamente l’imposta

di Luigi Ferrajoli
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Una nuova conferma giunge dalla
Corte di Cassazione in ordine al
potere sostitutivo del giudice tributario nella diversa determinazione del
carico fiscale rispetto all’accertamento operato dall’Amministrazione finanziaria.
La
sentenza n. 19750 del 19.09.2014 pronunciata dalla
Quinta sezione Civile della Corte di Cassazione si pone nel quadro ermeneutico tracciato dalla più consolidata giurisprudenza di legittimità che considera il
processo tributario un giudizio di “
impugnazione di merito” e non di “annullamento” con la conseguenza che il giudice tributario qualora ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di
carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una
valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (
Cassazione n. 22453/2008, n. 6364/2009, n. 19079/2009, n. 10396/2011).
La fattispecie sottoposta al vaglio del giudice di legittimità aveva ad oggetto la contestazione mossa ad una Società nell’ambito di
rapporti infragruppo con la consociata statunitense relativamente ad una presunta violazione della normativa (d.P.R. n. 917/86, art. 76, co. 5) in materia di
prezzi di
trasferimento infragruppo e dell’onere della prova.
Nel dirimere la questione i Giudici della Suprema Corte hanno fatto ricorso al seguente principio di diritto: “
il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio, con la conseguenza che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formale), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte”.
Il principio espresso dalla Cassazione attribuisce al giudice tributario, quale
giudice del rapporto (
rectius: del rapporto, mediato attraverso l’impugnazione di un atto) che ha piena cognizione sul
an e sul
quantum del debito tributario, l’onere di
esaminare nel merito la pretesa del Fisco e di quantificarla in base alle regole di diritto specifiche per la tipologia di accertamento operata, essendo inibita la pronuncia
secondo equità.
La Cassazione aveva già in precedenza precisato che “
se
l’applicazione comporta un’operazione di calcolo superiore alla capacità del giudice, egli può limitarsi a enunciare la norma giuridica appropriata per la risoluzione del caso controverso, lasciando al soggetto vincolato ad eseguire la sentenza (i.e.: l’Amministrazione competente) il compito di adottare i
comportamenti necessari” (
Cassazione n.1018/2008).
Ciò esonera il giudice dal compiere i calcoli necessari alla quantificazione del
carico fiscale purchè questi abbia individuato i limiti entro cui l’imposta sia dovuta e motivato sufficientemente in relazione alla diversa
rideterminazione dell’imponibile o dell’imposta.
Esempi significativi nella prassi sono costituiti dagli
accertamenti alle imprese fondati su una rideterminazione delle
percentuali di ricarico applicate dall’azienda: di sovente in questi casi il giudice tributario non si cimenta nella rideterminazione del carico fiscale scaturente dall’
abbattimento della pretesa rispetto alla misura accertata dall’Ufficio, ma si limita a ridurre in percentuale il ricarico, demandando all’Amministrazione
i calcoli dell’imposta.
Non può negarsi che una simile operazione richieda maggiore sforzo nel contribuente nel verificare la
conformità dei calcoli effettuati dall’Amministrazione con i criteri stabiliti dalla sentenza, e spesso ciò crea nell’immediato incertezza circa
l’effettivo carico tributario scaturente dalla pronuncia, posto che il contribuente dovrà attendere che l’Ufficio competente proceda allo
sgravio delle somme in esecuzione del
provvedimento giudiziario.
Pur confermando l’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale, la decisione in commento appare singolare sotto l’aspetto della soluzione alle
questioni preliminari cui la Corte perviene, concernenti la
decorrenza del termine breve per l’impugnazione in Cassazione a causa della
notifica da parte del contribuente della sentenza di appello.
La questione viene risolta in maniera anomala dai supremi giudici con la precisazione che non essendo l’avviso di ricevimento nella disponibilità dell’ente ricorrente
è onere del controricorrente contestare
l’intempestività dell’impugnazione dimostrando, attraverso il deposito dell’avviso di ricevimento in suo possesso, che la notifica del ricorso sia avvenuta
oltre il termine breve decorrente dalla data del perfezionamento del
procedimento notificatorio della sentenza, da lui attivato.