22 Maggio 2014

Il controllo di tesoreria tramite il cash pooling

di Luigi Scappini
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La contrazione nell’erogazione dei crediti da parte degli istituti di credito che, a oggi, rappresentano il maggior canale di approvvigionamento delle imprese, e il mancato decollo delle forme alternative introdotte dal Legislatore, i minibond su tutti, fanno sì che, per cercare di migliorare la liquidità di un gruppo di imprese, in modo da poter ridurre la necessità di finanziamento, una alternativa efficiente è quella di adottare il cash pooling, forma contrattuale di origine anglosassone.

Il cash pooling, forma di gestione della tesoreria del gruppo, consiste nell’accentramento della tesoreria del gruppo, a mezzo dell’accensione di un contratto di conto corrente intersocietario, in capo a una delle società che ne fanno parte, il cosiddetto pooler, che si assume la responsabilità della relativa gestione, e nella contestuale apertura di contratti di conto corrente dai quali far transitare le operazioni finanziarie delle società del gruppo.

In altri termini, nel conto corrente intersocietario gestito dal pooler (spesso una newCo), confluiscono, secondo tempistiche prestabilite, i saldi, positivi o negativi, dei conti correnti delle società del gruppo.

Una delle forme maggiormente sviluppata è il cosiddetto Zero balance cash pooling, riconducibile alla macroclasse del Target balance cash pooling, cui si contrappone quella del Notional cash pooling.

Quest’ultima forma si caratterizza per l’assenza di una reale movimentazione dei saldi fra i vari conti correnti, portando a una riduzione delle procedure amministrative delle aziende coinvolte.

Di contra, lo Zero balance cash poooling è strutturato a mezzo di un conto corrente di tesoreria ove confluiscono le operazioni che vengono contabilizzate sui conti correnti accessi dalle società del gruppo. A differenza del Notional cash pooling, in questo caso si ha un reale passaggio di fondi che comporta l’accessione di un conto corrente di corrispondenza in cui vengono annotate le rimesse tra le varie società aderenti al contratto, in modo che il calcolo degli interessi, sia attivi che passivi, non avvenga sui singoli conti correnti, bensì su quello intestato al pooler. Quest’ultimo poi, dovrà procedere alla liquidazione effettiva degli interessi maturati, tramite il pagamento o la compensazione da effettuarsi sempre sul conto corrente di corrispondenza.

La scelta tra le due forme sopra individuate presenta risvolti differenti per quanto concerne la possibile deducibilità degli interessi da un punto di vista fiscale.

A prescindere dalla forma scelta, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 109 Tuir, gli interessi, siano essi attivi o passivi, dovranno essere imputati per competenza e, in ossequio a quanto previsto dall’articolo articolo 89, comma 7, del Tuir (divieto di compensazione di poste attive con passive), si dovrà procedere, in sede dichiarativa, alternativamente, a una variazione in aumento per portare a tassazione gli interessi attivi maturati, ma che per effetto di compensazioni con interessi passivi non hanno concorso al risultato dell’esercizio o a una in diminuzione per dedurre gli interessi passivi compensati con quelli attivi.

L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 58/E del 27 febbraio 2002 ha affermato come nell’ipotesi in cui il contratto non sottenda prestiti in denaro e la beneficiaria degli interessi sia residente in uno Stato white list, a tal fine la società italiana dovrà premunirsi di un’autocertificazione in cui la società estera attesti di essere l’effettiva beneficiaria degli interessi corrisposti e di risiedere in un Paese di cui al D.M. 4 settembre 1996, agli interessi attivi corrisposti non si applica la ritenuta di cui all’articolo 26-bis del d.P.R. n. 600/73.

Gli eventuali interessi passivi, nel caso in cui il contratto sia classificabile tra quelli di conto corrente non bancario, saranno deducibili integralmente, a prescindere dalle regole dettate dall’articolo 96 del Tuir, come confermato dall’Agenzia delle Entrate ripetutamente con la Circolare n. 19/E del 21 aprile 2009 e n.11/E d 17 marzo 2005 e con la Risoluzione prima richiamata n.58/E/2002.

Al contrario, il Notional cash pooling, essendo classificato quale contratto di finanziamento indiretto alle società del gruppo, comporta l‘applicazione delle limitazioni in tema di deducibilità degli interessi passivi.

In conclusione, il cash pooling rappresenta un sistema di tesoreria che consente non solo di ottimizzare il fabbisogno finanziario riducendo il margine di indebitamento complessivo del gruppo e il carico fiscale connesso agli oneri finanziari, ripartendolo tra le società aderenti al cash pooling, ma anche di avere un costante monitoraggio dell’effettivo fabbisogno finanziario delle società.