18 Gennaio 2016

Il Coni e le nuove professioni sportive

di Guido Martinelli
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Le competenti Commissioni Parlamentari hanno espresso il loro parere sullo schema di decreto legislativo che recepisce la direttiva 2013/55/UE (che ha modificato la direttiva 2005/36/CE), in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali. Tale norma avrà, una volta pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, un effetto impattante anche sul mondo dello sport. Infatti l’art. 5, andando a modificare il medesimo articolo del D.Lgs. 09.11.2007 n. 206, nell’individuare le Autorità competenti al riconoscimento delle qualifiche professionali per l’esercizio della libera prestazione di servizi attribuisce al Comitato Olimpico nazionale italiano la competenza per il riconoscimento delle “professioni di maestro di scherma, allenatore, preparatore atletico, direttore tecnico sportivo, dirigente sportivo e ufficiale di gara”. Nonché al Ministero delle Infrastrutture la competenza per quella di “assistente bagnante”.

Questo comporterà che se detti professionisti intenderanno fornire i propri servizi in un altro paese dell’Unione, rispetto a quello di residenza, in modo temporaneo, potranno farlo in base a come sono costituiti (ossia il loro diritto di esercizio) nel loro paese di origine.

Ciò avrà delle indubbie ripercussioni anche nel mondo dei “lavoratori dello sport”. Ben sappiamo come in Italia la legge 91/81, preposta alla definizione del professionismo sportivo ha trovato applicazione solo in quattro discipline (calcio, pallacanestro, golf e motociclismo). Ne dovrà derivare, a seguito della iniziativa di ispirazione comunitaria, che la platea dei “professionisti dello sport” si dovrà necessariamente allargare.

Con conseguente necessità, “finalmente” di fare chiarezza sulla disciplina dei rapporti di lavoro nei settori ad oggi non professionistici (o come si dice in maniera imperfetta, dilettantistici) dello sport italiano.

Partendo, magari, proprio dalla disciplina dell’art. 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 sul riordino della disciplina organica dei contratti di lavoro entrato in vigore lo scorso primo gennaio.

Ci riferiamo, in particolare, al disposto della lettera d) del secondo comma, laddove esclude le collaborazioni rese ai fini istituzionali in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche dalla applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato se svolte in maniera personale, continuativa e “le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche in riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro”, esclusione che, visto il tenore della norma, non troverebbe applicazione in favore delle collaborazioni poste in essere in favore dei comitati del Coni, delle Federazioni e degli enti di promozione sportiva.

Si dovrebbe partire probabilmente da un chiarimento circa il riferimento all’art. 90, L. 289/2002. L’attuale testo parla di “prestazioni di lavoro … come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289”. Non si vuole, in questa sede, fare l’esegesi letterale della norma ma è sufficiente rileggerla con attenzione per capire che il riferimento al “maschile” (individuati e disciplinati) risulterebbe riferibile solo agli Enti di Promozione Sportiva che non hanno, invece, alcuna specifica attinenza alla norma citata.

Il riferimento sarebbe, invece, più opportunamente da farsi al “femminile” (individuate e disciplinate) ma andrebbe comunque chiarito se la lettura corretta sia: “le collaborazioni di cui all’art. 90 … rese ai fini istituzionali in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche” oppure se si debba leggere come “le collaborazioni rese ai fini istituzionali in favore delle società e associazioni sportive dilettantistiche di cui all’art. 90”.

Nel primo caso, anche se in maniera imperfetta e criticabile (l’art. 90, infatti, prevede solo le collaborazioni amministrativo gestionali e non anche l’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche), potrebbe comunque leggersi un riferimento all’art. 67 del Tuir (compensi sportivi) che potrebbe costituire, sotto il profilo lavoristico, il completamento del profilo fiscale sui compensi sportivi dilettantistici, facendone, pertanto, una categoria giuridica distinta e autonoma rispetto alle fattispecie di lavoro autonomo e subordinato.

Nel secondo, avremmo una possibile collaborazione coordinata e continuativa sportiva che nulla sembra possa ricondurre ai compensi sportivi disciplinati dall’art. 67 del Tuir. Pertanto i compensi agevolati sarebbero applicabili solo a quelle prestazioni su base associativa la cui causa sia diversa da quella lavorativa.

Ma il tema appare ancora più problematico ove si voglia fare riferimento alle collaborazioni poste in essere da parte dei comitati territoriali del Coni, delle Federazioni sportive, delle discipline sportive associate e degli enti di promozione sportiva.

Non vi è dubbio che, nella maggior parte dei casi, trattasi di attività caratterizzate dallo svolgimento a titolo personale, continuativo e organizzate dall’ente sportivo sotto il profilo dei tempi e luoghi di lavoro.

Ma, in questo caso, ove la prestazione fosse qualificabile come “di lavoro”, non potendosi applicare la deroga sopra illustrata, prevista come citato solo per le società e associazioni sportive dilettantistiche, sarebbe necessario applicare a queste collaborazioni “la disciplina del rapporto di lavoro subordinato”.

Ove non volessimo considerare una mera “dimenticanza” quella del legislatore, dovremmo individuarne una ratio che al momento ci sfugge.