14 Dicembre 2013

I valori delle aree ai fini IMU e le delibere dei Comuni

di Fabio Garrini
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Mentre i riflettori per l’IMU sono concentrati sul tema delle abitazioni principali e sulla relativa esenzione, gli operatori si trovano giustamente a confrontarsi anche con tutte le altre fattispecie impositive. In relazione alla determinazione della base imponibile, probabilmente la più ingarbugliata da gestire è quella relativa alle aree edificabili. Se per tali immobili la disciplina è probabilmente la più lineare, visto che l’imposta va calcolata prendendo a riferimento il valore “venale il comune commercio”, è altrettanto vero che trattandosi di un valore non oggettivo lo spazio per gli apprezzamenti personali (e quindi per il rischio di contestazioni) è certamente ampio.

I valori deliberati dal Comune

A risolvere (come vedremo, solo in parte) la questione, soccorrono i valori che i singoli Comuni approvano periodicamente. Come noto, infatti, la maggior parte dei Comuni, da diversi anni, individua il valore delle aree edificabili ubicate nel proprio territorio comunale. Tali valori forniscono un punto di riferimento a disposizione dei contribuenti visto che, a differenza di fabbricati e terreni agricoli, le cui basi imponibili sono ancorate a valori catastali (rispettivamente rendita catastale e reddito dominicale), per le aree edificabili, come detto, la base imponibile è costituita dal valore venale.

Non si deve però dimenticare che i valori determinati dal Comune, in passato, sino al 2011 in vigenza dell’ICI, erano anche qualcosa di più rispetto ad una semplice indicazione offerta dall’Ente: tali deliberazioni erano infatti assunte ai sensi dell’art.59 comma 1, lett. g) D.Lgs. 446/1997, disposizione che consentiva all’Ente di “determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, secondo criteri improntati al perseguimento dello scopo di ridurre al massimo l’insorgenza di contenzioso”.

Sino al 2011, pertanto, ai fini dell’applicazione del previgente tributo comunale, l’ICI, tali valori costituivano una sorta di valore di salvaguardia per il contribuente, e laddove lo stesso si adeguava al valore individuato dal Comune, automaticamente si poneva al riparo da eventuali pretese da parte dell’Ente, anche quest’ultimo fosse in grado di dimostrare un valore superiore. Usando una definizione forse un po’ forte, ma evocativa, si potrebbe dire che tali valori consentivano di “tombalizzare” quella posizione in relazione al terreno edificabile, anche se non mancano i Comuni che tentano (però, del tutto illegittimamente) di proporre accertamenti oltre tale soglia di valore.

Ai fini IMU, però, le cose sono cambiate: l’art.4 comma 1 del D.L. 16/2012 ha eliminato dalla disciplina IMU il richiamo al citato art.59 D.Lgs. 446/1997, limitando il rinvio al solo art. 52, riguardante la generale potestà regolamentare del Comune.

Nei fatti, quindi, risulta logico interrogarsi circa quale sia la valenza che dette delibere, se assunte dai Comuni, possano ancora oggi avere, posto che ancora moltissimi Enti continuano a deliberare i valori medi per aree omogenee. Se il contribuente si adegua a detti valori, può ancora ritenersi ragionevolmente al sicuro da possibili accertamenti nel momento in cui fosse documentabile (da parte dell’Ente) un valore superiore?

Adeguarsi o no?

Già da subito si era notato come nel nuovo panorama normativo tali delibere dovevano essere relegate al rango di semplici (seppure utili) indicazioni di valore. La conseguenza operativa di tale affermazione è quella per cui il contribuente non potrà più accontentarsi di dichiarare per una propria area edificabile il valore desunto dalla delibera, ma se tale area sia di valore più elevato, dovrà preoccuparsi di dichiarare il valore di mercato. In caso contrario, il Comune sarà titolato ad esperire un accertamento, attività che comunque presuppone la dimostrazione da parte dell’Ente del maggior valore presunto. In un periodo di particolare fiacca nel mondo edilizio non dovrebbe essere un problema troppo pressante, ma in alcuni casi il tema potrebbe essere davvero molto delicato, soprattutto se si sono verificate cessioni di aree con analoghe caratteristiche in prossimità del terreno, ovvero se il terreno stesso è stato oggetto di compravendita.

Nell’ambito delle “linee guida regolamentari” approvate dal Ministero, comunque, si legge: “Nulla vieta, peraltro, che la disposizione regolamentare di autolimitazione dei poteri di accertamento possa essere riproposta anche per l’IMU.” Ciò sta a significare che:

  • se il Comune introduce tale effetto “autolimitate” (come era nel passato) il contribuente può adeguarsi al valore deliberato ricevendo il relativo effetto definitorio;
  • se il comune nulla dice nel proprio regolamento, i valori deliberati sono solo indicativi e l’adeguamento a tali valori non offre nessun effetto benefico per il contribuente.

In ogni caso, se il contribuente ritiene che il valore dell’area sia inferiore a quello deliberato, egli andrà a dichiarare il valore effettivo, versando la relativa imposta, ovviamente premurandosi di precostituirsi elementi per giustificare tale valore in caso di future contestazioni.