16 Settembre 2013

I possibili utilizzi delle immobiliari estere

di Ennio VialVita Pozzi
Scarica in PDF

La detenzione di un compendio immobiliare tramite una società di persone o di capitali residente in Italia presenta alcune criticità fiscali legate alla possibile applicazione della disciplina delle società di comodo e della norma che colpisce i beni sociali usati dai soci.

Tali norme sono volte a contrastare l’utilizzo di strutture, per loro natura “commerciali”, per finalità di mero schermo societario e di risparmio fiscale. Talora, soprattutto in passato, la detenzione societaria degli immobili si giustificava anche con un trattamento fiscale di favore discendente dal regime di tassazione previsto per le società in luogo di quella prevista per le persone fisiche.

La società estera immobiliare consente di evitare i profili di criticità sopra evidenziati.

Come noto, infatti, l’art. 30 della L. 23.12.94 n. 724 stabilisce che “agli effetti del presente articolo le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano non operativi [….]” se non superano il c.d. test di operatività.

Se la società risulta “non operativa” il legislatore, oltre alla presunzione di un reddito minimo ai fini IRES, ha previsto alcune limitazioni e obblighi con particolare riguardo a:

  1. il riporto delle perdite pregresse;
  2. limiti all’utilizzo del credito Iva;
  3. la presunzione di un valore minimo della produzione ai fini IRAP.

Diversamente, le società estere senza stabile organizzazione non sono soggette alla disciplina in esame.

Come precisato dall’Agenzia delle Entrate, nella R.M. 13.12.1989 prot. n. 460196 non si configura l’ipotesi della stabile organizzazione in ipotesi di mera detenzione/locazione di beni immobili trattandosi di beni patrimoniali non avente distinzione organizzativa e contabile dalla casa madre.

La società estera, ad esempio una soparfi lussemburghese, consente di evitare anche la nuova norma volta a contrastare l’utilizzo dei beni sociali da parte dei soci.

E’ appena il caso di ricordare, infatti, come l’art. 2, commi da 36-terdecies a 36-duodevicies, D.L. 138/2011, al fine di contrastare il fenomeno della concessione in uso dei beni dell’impresa a soci o familiari dell’imprenditore, senza corrispettivo o per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato, ha introdotto una nuova fattispecie produttiva di redditi diversi in capo al socio/familiare e, specularmente, in capo all’impresa concedente un effetto di indeducibilità dei costi relativi a detti beni.

L’utilizzo del termine “imprese” evidenzia come la norma colpisca:

  • le società di capitali;
  • le società di persone;
  • le imprese individuali, in quest’ultimo caso per i beni affidati a familiari dell’imprenditore.

Il richiamo letterale alle “imprese”, pur se estremamente sintetico, porta a escludere che siano colpiti beni intestati a società semplici (non esercenti attività di impresa), a enti non commerciali che non svolgono attività di impresa (trust) e a società estere prive di stabile organizzazione nel nostro Paese.

Il CNDCEC nella circolare n.27/IR del 2 febbraio 2012 ha evidenziato come “l’esonero dei beni intestati a società estere è una delle maggiori lacune della norma, in quanto, soprattutto per i patrimoni di più rilevante valore, è frequente l’utilizzo di strutture domiciliate oltre frontiera”.

Alla luce delle considerazioni proposte l’utilizzo di una società estera è sicuramente una valida alternativa.

Si ricorda, inoltre, come la società estera consenta di beneficiare dell’esenzione da imposizione in caso di cessione dell’immobile trascorso il quinquennio.

Ma come si “crea” la società estera? Una prima possibilità è la costituzione della stessa ed il successivo acquisto degli immobili.

Una soluzione più semplice è il trasferimento di sede della società italiana, ad esempio, in Lussemburgo. Alla luce delle modifiche apportate all’art. 166 del Tuir è possibile effettuare il trasferimento di sede in “sospensione di imposta”; inoltre, il trasferimento di sede in Lussemburgo non determina una interruzione del periodo di imposta.

Questo tipo di scelta deve però misurarsi con le disposizioni fiscali del Tuir che considerano comunque residenti in Italia le società che, di fatto, risultano amministrate nel nostro territorio o il cui oggetto principale dell’attività d’impresa sia in Italia: in sostanza, in una simile fattispecie la residenza della società potrebbe essere attratta in Italia in relazione all’oggetto dell’attività.

L’imprenditore persona fisica deve segnalare l’investimento estero nel Modulo RW e versare l’IVAFE; inoltre, i costi della struttura sono più elevati.