17 Luglio 2015

I limiti al sequestro preventivo di beni societari

di Luigi Ferrajoli
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La Corte di Cassazione, con la sentenza n.5413/15, è tornata ad occuparsi delle problematiche sottese all’applicazione del sequestro preventivo in tema di reati tributari.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha vagliato il ricorso proposto dall’indagato avverso il provvedimento adottato dal Tribunale del riesame, quale giudice del rinvio, che aveva confermato il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni quale profitto dei reati di frode fiscale relativi a più periodi di imposta, nonché di quelli di truffa, consumata e tentata, volta al conseguimento di erogazioni pubbliche e di truffa aggravata in danno dello Stato.

Uno dei motivi di ricorso, in particolare, con specifico riferimento al sequestro operato sui beni immobili della società di cui l’imputato era amministratore, richiamava il principio, espresso dalle Sezioni Unite, nella sentenza n.10561/14, secondo cui non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto del reato tributario compiuto dagli organi della stessa, salvo che la persona giuridica sia stata uno schermo fittizio.

Posto che, nella fattispecie in esame, all’imputato era stato contestato il reato di appropriazione indebita di somme di danaro della società di capitali amministrata, nel ricorso è stato evidenziato che la medesima risulterebbe contemporaneamente e per gli stessi fatti persona offesa ed autrice interposta del reato, ovvero danneggiata e concorrente.

Tale motivo di impugnazione è stato accolto dal Giudice di legittimità.

Innanzitutto, la Cassazione ha ribadito il principio per cui al Giudice del riesame delle misure cautelari è demandato di verificare, nei limiti della summaria cognitio del devolutum, la sussistenza del fumus commissi delicti dei reati contestati all’indagato e del periculum in mora che deve sorreggere l’adozione del decreto di sequestro preventivo “nell’ottica che la tempestiva adozione, in via d’urgenza, del vincolo di indisponibilità sul bene o sui beni dell’indagato costituisca l’unico rimedio per garantire le esigenze cautelari onde consentirne la futura confisca od anche la confisca per equivalente”.

Ciò premesso, la Suprema Corte ha osservato che il provvedimento di sequestro ha colpito, oltre ai beni mobili ed immobili di diretta pertinenza dell’indagato, anche beni immobili appartenenti alla società, quali beni di cui è prevista la confisca, anche per equivalente, ai sensi degli artt.322 ter e 640 quater c.p., nonché dell’art.1 della L. n.244/07.

La Corte di Cassazione, nel motivare il proprio provvedimento di accoglimento sul punto, ha innanzitutto sottolineato come i richiamati beni immobili sequestrati fossero nella disponibilità della società e non dell’amministratore indagato, in considerazione del principio di separazione tra il patrimonio della persona fisica e quello della società di capitali quale persona giuridica.

Detta società, come osservato in motivazione, non solo nei capi di imputazione non era in alcuna posizione “associata” a quella dell’indagato, ma addirittura figurava quale persona offesa del delitto di cui all’art.646 c.p. e art.61 c.p., nn. 7 e 11, contestato all’amministratore per essersi appropriato, a proprio od altrui profitto, di somme di danaro della persona giuridica.

Ciò, a parere del Giudice di legittimità, basterebbe ad escludere che la richiamata società possa aver svolto il ruolo di schermo giuridico predisposto dall’indagato per commettere i reati tributari indicati nei capi di imputazione.

La Suprema Corte, per completezza di argomentazione, ha inoltre evidenziato che l’unica ipotesi per cui, conformemente a quanto statuito dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, l’adozione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca equivalente ex art.1, co.143 della L. n.244/07 e art.322-ter c.p.p. sarebbe legittima, è una relazione di “stretta strumentante” della società, quale “apparato fittizio”, agli effetti della realizzazione dei reati tributari ad opera del proprio amministratore di fatto o di diritto.

Nella posizione in esame, la Corte di Cassazione non solo non ha rinvenuto alcun accenno a tale ipotesi nel provvedimento impugnato, ma neppure alla diversa ipotesi che, con riferimento al sequestro preventivo dei beni immobili della persona giuridica, la misura cautelare risulti finalizzata ad attuare la confisca diretta del profitto di reato, di cui all’art.240 c.p., come prescritto dall’art. 322-ter c.p.p., nel caso in cui i beni immobili “altro non siano che il prodotto della “trasformazione” del danaro, quale profitto del reato sottratto alla imposizione tributaria”.

La Corte ha pertanto accolto il ricorso proposto e ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale competente per un nuovo esame.

 

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