1 Settembre 2017

Gli utili in nero riaprono i termini di prescrizione dell’accertamento

di Marco Bargagli
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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7592 depositata il 23 marzo 2017, ha affrontato il tema della prescrizione in ambito tributario, nell’ipotesi di percezione di dividendi sottratti a tassazione.

In merito, la normativa sostanziale di riferimento è contenuta nell’articolo 43 del D.P.R. 600/1973, nella versione modificata dall’articolo 1, della Legge 208/2015, in vigore dal 1 gennaio 2016, a mente del quale gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.

Tuttavia, nei casi di omessa presentazione del modello redditi o di presentazione della dichiarazione nulla, l’avviso di accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Infine, sino alla scadenza dei termini sopra indicati, l’avviso di accertamento da parte dell’ufficio può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, sulla base della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle Entrate.

In merito, nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte.

Nel caso esaminato da parte della suprema Corte, l’Amministrazione finanziaria aveva proposto ricorso avverso la decisione espressa nei primi due gradi di giudizio, in quanto l’ufficio aveva integrato l’avviso di accertamento sulla base della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, senza che apparentemente ricorressero i presupposti indicati dalla norma.

Nello specifico, la Commissione Tributaria Regionale rilevava quanto segue: “per un verso, che l’Ufficio avrebbe fatto uso del potere integrativo, senza la ricorrenza del presupposto richiesto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 (sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi, non conosciuti e non conoscibili al momento dell’originario atto accertativo) e, per altro verso, che la presunzione di distribuzione di utili extrabilancio sarebbe stata difficilmente ipotizzabile, a causa della conflittualità dei rapporti .. omissis … con il resto della compagine societaria”.

Ciò posto gli ermellini, nella citata ordinanza n. 7592/2017, hanno ritenuto che l’avviso di accertamento risultava pienamente in linea con le prescrizioni richieste dalla Legge, anche nell’ipotesi in cui vengano ravvisati nuovi elementi non individuabili preventivamente da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, i dati non ancora in possesso dell’ufficio fiscale che ha emesso l’avviso di accertamento al momento dell’adozione di esso costituiscono, ai sensi dell’articolo 43, comma 3, del D.P.R. 600/1973, elementi sopravvenuti che legittimano l’integrazione o la modificazione in aumento dell’avviso di accertamento, mediante notificazione di nuovi avvisi.

Infatti, il contenuto preclusivo previsto dalla norma è limitato al solo divieto di fondare il medesimo avviso integrativo sulla base di una mera rivalutazione o di un maggior apprendimento di dati già originariamente in possesso dell’ufficio procedente, come già affermato dalla stessa Corte di Cassazione con sentenza n. 576 del 15 gennaio 2016.

Nella fattispecie esaminata, agli accertamenti esperiti su un determinato soggetto economico, che avevano dato luogo al primo accertamento, si erano aggiunti quelli successivi a carico di un’altra società, che costituivano sicuramente un elemento nuovo e che avevano originato il secondo avviso, mentre il terzo avviso non era da considerarsi come un atto integrativo, bensì come un atto di rettifica in autotutela non espressamente disciplinato dall’articolo 43 del D.P.R. 600/1973.

Inoltre, sempre in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammissibile la presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale.

Sul punto, la presunzione dell’Ufficio si basava infatti sugli accertamenti esperiti a carico delle due società di cui un determinato soggetto era socio, mentre gli elementi addotti dalla Commissione Tributaria Regionale, per giustificare il superamento della presunzione legale, risultavano legati ad elementi probabilistici ed astratti riferiti alla conflittualità del contribuente con gli altri soci, del tutto inconsistenti per dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore.

Per tale motivo la suprema Corte, accogliendo il ricorso dell’Ufficio, ha rinviato per nuova valutazione alla Commissione Tributaria Regionale, in diversa composizione, con l’indicazione di attenersi ai principi di diritto affermati in sede di legittimità.

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