9 Marzo 2015

Gli impianti fotovoltaici possono sfuggire alle società di comodo

di Leonardo Pietrobon
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Il rapporto tra impianti fotovoltaici e la normativa società di comodo rappresenta ancora oggi un problema da non sottovalutare, nonostante i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate con la C.M. n. 36/E/2013, mediante la quale l’Amministrazione finanziaria ha fornito una quadro (quasi) “completo” circa l’inquadramento, mobiliare o immobiliare e non solo, degli impianti che producono energia elettrica da fonte fotovoltaica.

In riferimento alla normativa società di comodo, con il citato documento di prassi, l’Agenzia ha stabilito che il contribuente titolare dell’impianto fotovoltaico deve applicare agli stessi coefficiente del 6%, generalmente previsto per i beni immobili, a prescindere dal fatto che gli stessi siano inquadrati come beni mobili o immobili. Tale scelta “unitaria” è stata giustificata dall’Amministrazione finanziaria dal fatto che “tali beni producono gli stessi ricavi indipendentemente dalla natura attribuita all’investimento per finalità tributarie”. Tale scelta, quindi, in alcuni casi rispetto ai dubbi del passato ha rappresentato e può sicuramente rappresentare, un’ottima soluzione, ma in alcune circostanza può continuare ad essere ancora un parametro irraggiungibile.

L’Agenzia delle entrate, infatti, nel citato documento di prassi ha preso atto che il mercato relativo alla produzione e vendita dell’energia elettrica, derivante da fonte fotovoltaica, si configura in genere come un mercato vincolato, in cui gli operatori non godono di piena autonomia, in quanto, generalmente, la vendita di energia avviene da parte degli operatori a prezzi imposti, sulla base di specifici contratti stipulati con il GSE.  

Da un punto di vista pratico, infatti, si ricorda che le modalità di vendita dell’energia elettrica da fonte fotovoltaica da parte del “produttore” sono stanzialmente la vendita indiretta, la cui cessione avviene mediante stipula di una convenzione di ritiro dedicato con il GSE, ovvero diretta, attraverso la quale la vendita avviene in borsa o ad un grossista con la stipula di un contratto bilaterale.

E’ di tutta evidenza, quindi che la prima modalità – la cessione indiretta – rappresenta la situazione tipica in cui il responsabile dell’impianto ha ridotta autonomia contrattuale e subisce le tariffe “imposte”.

Sulla base di tale considerazioni, quindi, l’Agenzia afferma che in caso di mancato superamento del test di operatività da parte di un contribuente che scelga la vendita “indiretta”, ai fini dell’accoglimento dell’istanza di disapplicazione lo stesso può addurre come giustificazione la circostanza che la vendita dell’energia avviene sulla base di specifici contratti stipulati con il GSE, che impone al produttore i prezzi di vendita. In tal caso, quindi, è indispensabile allegare all’istanza disapplicativa:

  • la convenzione sottoscritta con il GSE, mettendo in evidenza la tariffa attribuita all’impianto;
  • l’energia prodotta annualmente dall’impianto in questione (dato che può essere estrapolato dal portale dedicato del GSE);
  • il calcolo di determinazione dei ricavi realizzati dall’impianto.

Nel caso, in cui, invece, il contribuente scelga la vendita “diretta”, il mancato superamento del test di operatività impone al contribuente di dimostrare – ai fini dell’accoglimento dell’istanza di disapplicazione – di volta in volta, l’esistenza di quelle situazioni oggettive che non hanno permesso il conseguimento di ricavi utili al superamento del citato test. In tale ipotesi, è utile ricordare che ogni elemento “oggettivo” utile a giustificare l’impossibilità a percepire una tariffa maggiore, piuttosto che la ridotta produzione di energia da parte dell’impianto per questioni tecniche, dimostrabili a livello documentale, rappresentano le possibili soluzioni per la disapplicazione della normativa in questione. A titolo esemplificativo potrebbero essere:

  • la disattivazione per problemi tecnici dell’impianto fotovoltaico;
  • la presenza di fattori esogeni, quali agenti atmosferici, che hanno impedito il pieno funzionamento dell’impianto;
  • il malfunzionamento o la rottura di parte dell’impianto o della rete elettrica a cui viene trasferita l’energia.

A livello giurisprudenziale, si ricorda che il rapporto tra impianto fotovoltaico e società di comodo è stata affrontata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bolzano, con la sentenza del 30.04.2013 n. 46/2/13, la quale ha stabilito che la cessione di energia prodotta da un impianto fotovoltaico al GSE ed il mancato raggiungimento dei ricavi minimi, previsti dalla disciplina delle società di comodo, di cui all’art. 30 L. n. 724/1994, possono costituire una condizione oggettiva che consente la disapplicazione della citata normativa.

In particolare, la stessa CTP di Bolzano, oltre a mettere in evidenza che gli aspetti quantitativi quali le tariffe per la cessione dell’energia rappresentano un aspetto “difficilmente” negoziabile dai soggetti responsabili di impianti fotovoltaici, stabiliscono come la realizzazione dei rispettivi ricavi è legata a fattori esterni, indipendenti dalla volontà e dalle capacità imprenditoriali. In altri termini, indirettamente, i giudici di primo grado, ancora prima dell’intervento dell’Agenzia delle entrate, hanno affermato l’esistenza di possibili condizioni oggettive che non permettono il realizzo dei ricavi minimi presunti in base all’art. 30 L. n. 724/1994 e, quindi, una disapplicazione della normativa relativa alle società di comodo.