8 Ottobre 2016

La funzione dell’udienza preliminare

di Luigi Ferrajoli
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Con la recente sentenza n. 38511 depositata il 16 settembre 2016, la Corte di Cassazione si è espressa in ordine alla natura e alla funzione dell’udienza preliminare, in relazione ad un’ipotesi di contestazione di reati tributari.

In particolare, nel caso di specie il Giudice dell’Udienza preliminare aveva pronunciato sentenza di non luogo a procedere nei confronti di soggetto imputato in relazione agli articoli 10 e 3 D.Lgs. 74/2000.

Nella prima ipotesi, il GUP aveva affermato che l’azione non poteva essere iniziata a cagione della pregressa esistenza, nei confronti dell’imputato, di altro giudizio sui medesimi fatti e, con riferimento alla seconda, in quanto “il fatto non sussiste”.

Avverso tale provvedimento era stato proposto ricorso per Cassazione da parte del Procuratore della Repubblica, con riferimento all’articolo 606, comma 1, lettere b) ed e) c.p.p.

La Suprema Corte, nel decidere la questione, si è innanzitutto espressa sulle caratteristiche precipue dell’udienza preliminare, osservando che, secondo quanto previsto dall’originario codice di procedura penale, la stessa era finalizzata ad esercitare “filtro e controllo” giurisdizionale sulla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal Pubblico Ministero.

I casi in cui la sentenza di proscioglimento poteva essere adottata erano stabiliti con criterio rigoroso, nell’intenzione del legislatore di evitare che l’udienza preliminare diventasse un “abnorme succedaneo del dibattimento”.

Con la riforma di cui alla L. n. 105/1993, l’articolo 425 c.p.p. è stato modificato con riferimento al requisito dell’evidenza dei presupposti stabiliti per l’emissione della sentenza de qua, con conseguente accentuazione della natura di filtro dell’udienza preliminare, destinata ad evitare che vengano rimessi al Tribunale procedimenti “inutili”.

L’ambito di controllo del Giudice dell’udienza preliminare si è dunque ampliato e la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha evidenziato che la sentenza di non luogo a procedere deve essere emessa “sia nel caso di prova positiva dell’innocenza” dell’imputato, sia nel caso, originariamente escluso, della “mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova di colpevolezza”.

Sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, detta sentenza deve essere adottata, in ipotesi di incertezza probatoria, qualora questa “non appaia integrabile nella successiva fase del dibattimento”.

Tuttavia, è illegittima la sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato (in ipotesi, amnistia), se la causa estintiva stessa sia operativa sulla base del riconoscimento, da parte del Giudice dell’udienza preliminare, di circostanze attenuanti, ovvero di giudizio di comparazione tra le stesse ed altre aggravanti, in quanto si versa in ipotesi di valutazioni di cui il GUP non può essere investito, manifestandosi in valutazioni rimesse esclusivamente al Giudice che abbia giurisdizione piena.

L’ulteriore riforma dell’articolo 425 c.p.p., intervenuta con la L. n. 479/1999, non ha alterato la funzione dell’udienza preliminare, per cui il GUP pronuncerà sentenza di non luogo a procedere anche quando “gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. Deve dunque permanere il requisito della non superabilità, in dibattimento, delle mancanze degli elementi citate, fermo restando che il Giudice dell’udienza preliminare non può pronunciare la sentenza in questione “in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate”.

Sulla base di tali premesse, di natura generale, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, nel caso in esame, il Giudice dell’udienza preliminare abbia invece non solo “compiuto una approfondita disamina del merito della vicenda processuale”, ma si sia anche pronunciato sull’inidoneità del compendio probatorio acquisito “senza motivare adeguatamente le ragioni per le quali le lacune del materiale acquisito nel corso delle indagini preliminari non potessero essere colmate in sede dibattimentale”.

La Corte di Cassazione ha dunque ritenuto la fondatezza del ricorso proposto dalla Procura, “essendosi il Giudice dell’udienza preliminare sostanzialmente cimentato in un non consentito giudizio sulla responsabilità dell’imputato, che ha condotto al suo proscioglimento nonostante la presenza di una pluralità di fonti di prova “aperte”, rispetto alle quali l’assenza di adeguate giustificazioni da parte dell’imputato in ordine alle contestazioni elevate a suo carico, avrebbe richiesto, da parte del giudicante, un più solido e articolato supporto motivazionale”.

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