19 Maggio 2015

Reverse charge ed erroneo versamento dell’IVA

di Marco Peirolo
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Nella circolare n. 12 del 24 marzo 2015 (§ 12.1), l’Agenzia delle Entrate ha chiarito gli effetti dell’irregolare introduzione dei beni in deposito alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia nella sentenza Equoland (causa C-272/13 del 17 luglio 2014).

In assenza di frode o tentativo di frode, l’obbligo di introdurre materialmente i beni nel deposito IVA assume carattere formale, sicché la mancata osservanza di tale obbligo non preclude il diritto di detrazione dell’imposta assolta in sede di reverse charge anziché, in dogana, a seguito dell’immissione in libera pratica dei beni di provenienza extracomunitaria.

Nella citata circolare, l’Agenzia ritiene che, “nei casi analoghi in fatto e in diritto a quello esaminato, non si debba procedere alla richiesta dell’imposta già assolta mediante reverse charge, a condizione, da accertare caso per caso, che non sussista evasione o tentativo di evasione”.

Invero, nella sentenza Equoland, i giudici comunitari hanno affermato che, “(n)ei limiti in cui, secondo il giudice del rinvio, nel procedimento principale non sussiste né evasione né tentativo di evasione, la parte della sanzione consistente nel richiedere un nuovo pagamento dell’IVA già assolta, senza che tale secondo pagamento conferisca un diritto a detrazione, non può considerarsi conforme al principio di neutralità dell’IVA” (punto 43).

Al di là delle conseguenze, sul piano sanzionatorio, della violazione commessa, l’Ufficio resta pertanto legittimato a pretendere l’imposta versata erroneamente in reverse charge anziché in dogana, ma deve riconoscere, allo stesso tempo, il diritto di detrazione della relativa imposta, altrimenti la pretesa impositiva assumerebbe un illegittimo carattere sanzionatorio.

Si tratta di una conclusione allineata alle indicazioni offerte dalla Corte di giustizia nella sentenza Fatorie (causa C-424/12 del 6 febbraio 2014) e nella più recente sentenza SGS-Sarviz (causa C-111/14 del 23 aprile 2015), riferite – rispettivamente – all’ipotesi in cui il fornitore abbia erroneamente addebitato l’IVA per un’operazione soggetta a reverse charge e all’ipotesi (opposta) in cui il cliente abbia erroneamente applicato il reverse charge per un’operazione soggetta al regime ordinario.

Nel primo caso (Fatorie), il cliente ha erroneamente versato al proprio fornitore l’imposta da quest’ultimo addebitata a titolo di rivalsa. La detrazione operata dal cliente, riguardando un’imposta non dovuta, non è ammessa e al cliente non resta che promuovere l’azione di indebito oggettivo al fine di recuperare, in sede civilistica, quanto indebitamente corrisposto alla controparte.

Nel secondo caso (SGS-Sarviz), il fornitore non residente, per il tramite della stabile organizzazione ubicata nel Paese UE del cliente, ha reso servizi “generici” erroneamente assoggettati a reverse charge, in quanto la facoltà, per gli Stati membri, di prevedere l’applicazione dell’inversione contabile è limitata, ai sensi dell’art. 194 della Direttiva n. 2006/112/CE (recepito dall’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972), alla sola ipotesi in cui il fornitore non sia stabilito nello Stato membro in cui l’IVA è dovuta.

In particolare, “è debitore dell’IVA solo il soggetto passivo che fornisce una prestazione di servizi quando quest’ultima è fornita a partire da un’organizzazione stabile situata nello Stato membro in cui tale imposta è dovuta” (punto 25), sicché “la circostanza che il destinatario di tali servizi abbia assolto l’IVA basandosi sull’errata supposizione che il prestatore non disponesse di un’organizzazione stabile ai sensi della direttiva IVA, non può consentire all’amministrazione tributaria di derogare a tale regola considerando soggetto passivo dell’IVA non già il prestatore di servizi, bensì il destinatario” (punto 29).

Nel caso considerato, le Autorità fiscali hanno, allo stesso tempo, negato al cliente la detrazione operata in sede di reverse charge e ottenuto dalla stabile organizzazione del fornitore estero il pagamento dell’IVA non applicata in fattura.

La Corte di giustizia, richiamando la sentenza Rusedespred (causa C-138/12 dell’11 aprile 2013), ha affermato che, al fine di garantire la neutralità dell’IVA, spetta agli Stati membri contemplare, nei rispettivi ordinamenti interni, la possibilità di rettificare l’imposta indebitamente fatturata, purché chi ha emesso la fattura dimostri la propria buona fede, oppure abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdita di gettito fiscale.

Nella fattispecie, essendo stata negata la detrazione al cliente, il rischio di perdita di gettito risulta escluso. Di conseguenza, negare al fornitore il rimborso dell’imposta significherebbe riscuotere due volte la stessa imposta, in contrasto con il principio di neutralità.

In definitiva, dagli arresti giurisprudenziali richiamati, si evince che l’erroneo versamento d’imposta – da parte del fornitore per un’operazione soggetta a reverse charge o, al contrario, da parte del cliente per un’operazione soggetta al regime ordinario – non esclude il diritto dell’Erario di pretendere, rispettivamente, dal cliente e dal fornitore il riversamento dell’IVA assolta indebitamente dalla controparte.