14 Luglio 2015

La partecipazione in una SRL produce reddito di impresa?

di Giovanni ValcarenghiPaolo Noventa
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Talvolta, scorrendo in forma libera le sentenze che sono segnalate dalla stampa specializzata capita di imbattersi in questioni interessanti che si pensava fossero ormai sepolte dalla polvere.

Così è accaduto leggendo la sentenza della Corte D’Appello di L’Aquila n.752 dello scorso 25-06-2015, avente ad oggetto l’obbligo di versamento dei contributi INPS delle gestioni artigiani e commercianti sul “presunto” reddito di impresa rinveniente dalla partecipazione in società di capitali.

Le pronuncia ci piace doppiamente perché:

  • da un lato, statuisce principi sacrosanti dal punto di vista giuridico, ripristinando la certezza del diritto che è principio che dovrebbe sempre essere salvaguardato;
  • da altro punto di vista, si colloca temporalmente in un momento in cui l’Istituto sembra avere perduto completamente le staffe (ci siamo già soffermati in precedenti interventi sulla questione della proroga dei termini per il versamento dei contributi a percentuale, ed altre nefandezze ci risulta siano compiute in merito ad errati conteggi dei termini di prescrizione). Insomma, ci pare opportuno che qualcuno (e solo i Giudici possono farlo) suoni un campanello d’allarme nei confronti di un Ente che sembra ritenersi sopra la legge (ed anche sopra la corretta amministrazione della cosa pubblica, visto che risulta praticamente impossibile dialogare di persona con un funzionario).

Qui commentiamo, ovviamente, solo il risvolto tecnico della sentenza che, si badi bene, deve essere valutato dimenticandosi completamente dello stato di dissesto in cui si trova l’Istituto e la connessa bramosia di entrate che lo caratterizza.

La vicenda riguarda la correttezza, o meno, del provvedimento di revoca di una pensione (e qui, onestamente, il nostro interesse diretto potrebbe subito scemare); pur tuttavia, la motivazione attorno alla quale ruota il provvedimento è certamente più importante, visto che si discute della necessità di assoggettare a contribuzione ciò che l’INPS definisce reddito di impresa, vale a dire l’astratta quota di reddito imputabile ad un soggetto che possiede quote di partecipazione in varie SRL senza prestare alcuna prestazione lavorativa nelle medesime.

A parere dell’INPS su tale quota di astratto reddito (perfettamente in aderenza con le proprie circolari, peraltro giuridicamente errate) sono dovuti i contributi per la gestione commercianti; fortunatamente, la Corte d’Appello è di tutt’altro avviso.

L’art. 3 bis D. l. 19 settembre 1992 n.384 prevede che “A decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’art. 1 della legge 2 agosto 1990, n. 233, è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono“.

Secondo l’Inps, l’impostazione ermeneutica accolta dal Tribunale si porrebbe in radicale contrasto con la lettera della disposizione e svuoterebbe completamente di significato l’innovazione normativa che il legislatore aveva voluto introdurre nel nostro ordinamento giuridico; in particolare non si riuscirebbe oggettivamente a comprendere la valenza e la portata del vocabolo “totalità” utilizzato nella norma. Secondo l’interpretazione operata dall’Istituto, in particolare, i contributi previdenziali dovuti dai soggetti aventi tutti i requisiti ex lege per essere iscritti alla Gestione previdenziale dei lavoratori autonomi debbono essere calcolati non solamente sul reddito prodotto dall’attività commerciale o artigiana che ha dato luogo all’iscrizione, ma anche su tutti gli altri eventuali redditi di impresa conseguiti dal contribuente nel periodo fiscale di riferimento, senza distinzione tra redditi di impresa (cioè derivanti da partecipazione a società di persone di natura commerciale) e redditi di capitale (cioè derivanti da partecipazioni a società di capitali con personalità giuridica). Tale tesi (peraltro alquanto bizzarra, in quanto si disinteressa totalmente del tenore della norma, sostituendolo con mere ragioni di cassa) non può essere accolta per le seguenti motivazioni:

  • l’art. 6 D.P.R. n. 917 del 1986 individua le diverse categorie di reddito, distinguendo nettamente i redditi di impresa (o di partecipazione) da quelli di capitale;
  • il rapporto previdenziale non può prescindere, per definizione, dalla sussistenza di un’attività, di lavoro dipendente o autonomo, che giustifichi la tutela corrispondente, atteso che, diversamente ragionando, ogni conferimento di capitali in società esercente attività di impresa dovrebbe comportare l’inserimento del reddito corrispondente nell’imponibile contributivo. Ne deriva che il concetto di “totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini Irpef” deve essere riferito esclusivamente all’impresa commerciale o artigiana in relazione alla quale l’assicurato è iscritto alla corrispondente gestione, non essendo necessariamente soggette a contribuzione ai fini previdenziali eventuali altre fonti di reddito da partecipazione;
  • allorché sussista il presupposto per la iscrizione nella gestione commercianti, la norma indica espressamente quale sia l’imponibile da assoggettare a contribuzione previdenziale, individuandolo nei redditi dichiarati nel quadro RH del Modello Unico che reca l’intitolazione “redditi di partecipazione in società di persone e assimilate”;
  • la Corte Costituzionale (sentenza 354/2001) ha affermato la legittimità costituzionale dell’art. 3-bis, in merito alla presunta disparità di trattamento tra il socio di società di persone avente natura commerciale (società in accomandita semplice o in nome collettivo), che vede assoggettati a contribuzione Inps i redditi di impresa, e il socio di società di capitali, i cui redditi di capitale non sono invece assoggettabili a contribuzione nella gestione commercianti.

Tutte queste considerazioni ci paiono del tutto logiche e ragionevoli e ci permettono, allora, di affermare con certezza che la semplice titolarità di quote in SRL, detenuta da un soggetto che nelle medesime società non presta alcuna attività lavorativa, non determina obbligo di assoggettamento a contributi.

Ancora, a nostro giudizio (ma questo aspetto non è trattato dalla sentenza) i medesimi principi dovrebbero anche portare ad affermare che, ove un soggetto sia iscritto alla gestione artigiani e/o commercianti, la base imponibile su cui deve conteggiare i contributi dovrebbe essere limitata alla somma dei redditi prodotti come ditta individuale o partecipazione a società di persone, mentre non dovrebbe essere incrementata del reddito teorico a lui ascrivibile in quanto socio di SRL senza prestare alcuna attività lavorativa nelle medesime.

Staremo a vedere quale sarà l’evoluzione del comportamento dell’INPS.

 

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