4 Luglio 2015

Collaborazioni lavorative tra università e ricercatori stranieri: le agevolazioni tributarie

di Cristoforo Florio
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Con il presente contributo si intende proporre una sintesi dello sviluppo normativo relativo alle agevolazioni fiscali spettanti in relazione alle collaborazioni lavorative tra gli enti universitari e i ricercatori, esaminando le disposizioni di cui al D.L. n. 185/2008, come recentemente innovato dalla L. n. 190/2014 (c.d. “Legge di stabilità 2015”).

La citata normativa concede, al ricorrere di determinate condizioni che si analizzeranno nel prosieguo, la possibilità, per il ricercatore, di usufruire di una riduzione della base imponibile IRPEF nella misura del 90%, con conseguente applicazione del carico fiscale solo su una quota di reddito corrispondente al 10%.

Passando all’esame del dato normativo, l’art. 17, comma 1, del citato D.L. disponeva che “(…) i redditi di lavoro dipendente o autonomo dei docenti e dei ricercatori, che in possesso di titolo di studio universitario o equiparato, siano non occasionalmente residenti all’estero e abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all’estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi che dalla data di entrata in vigore del presente decreto o in uno dei cinque anni solari successivi vengono a svolgere la loro attività in Italia, e che conseguentemente divengono fiscalmente residenti nel territorio dello Stato, sono imponibili solo per il 10 per cento, ai fini delle imposte dirette, e non concorrono alla formazione del valore della produzione netta dell’imposta regionale sulle attività produttive (…)”.

La stessa norma prevedeva che tale incentivo fosse applicabile “(…) a decorrere dal 1° gennaio 2009, nel periodo d’imposta in cui il ricercatore diviene fiscalmente residente nel territorio dello Stato e nei due periodi di imposta successivi sempre che permanga la residenza fiscale in Italia (…)”.

Successivamente a tale normativa, l’art. 44, comma 1, del D.L. n. 78/2010, ha disposto che “(…) Ai fini delle imposte sui redditi è escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo il novanta per cento degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che, in possesso di titolo di studio universitario o equiparato e non occasionalmente residenti all’estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all’estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi e che dalla data di entrata in vigore del presente decreto ed entro i cinque anni solari successivi vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato (…)”. Il successivo comma 3 prevedeva che la norma sopra riportata si applicava “(…) a decorrere dal 1° gennaio 2011, nel periodo d’imposta in cui il ricercatore diviene fiscalmente residente nel territorio dello Stato e nei due periodi d’imposta successivi sempre che permanga la residenza fiscale in Italia (…)”.

Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con circolare 15/02/2011 n. 4/E, la disposizione richiamata da ultimo “(…) riproduce sostanzialmente l’agevolazione prevista dall’art. 17, comma 1, del D.L. n. 185/2008 (…) e (…) ne costituisce una estensione temporale (…)”. Pertanto, anche alla luce del chiarimento ufficiale fornito dall’Amministrazione finanziaria, la norma di cui al D.L. n. 185/2008 è stata superata da quella contenuta nel D.L. n. 78/2010.

Successivamente, la recente Legge di Stabilità 2015 (L. n. 190/2014) ha ulteriormente modificato – a partire dal 1° gennaio 2015 – quanto previsto dal D.L. n. 78/2010, allungando: (a) da 5 a 7 i periodi di riferimento entro cui può essere iniziata l’attività in Italia da parte del docente/ricercatore e (b) da 3 a 4 i periodi d’imposta in cui il docente/ricercatore può fruire dell’agevolazione fiscale mantenendo la residenza fiscale in Italia. 

Pertanto, la nuova disposizione estende l’agevolazione in esame fino al 31 dicembre 2017.

Giova evidenziare che la disciplina in questione non è in alcun modo legata alla nazionalità del ricercatore; la norma agevola, infatti, i soggetti “stabilmente residenti all’estero” che divengono fiscalmente residenti in Italia. Pertanto, ben potrebbe trovare applicazione nei confronti di soggetti italiani che, svolgendo attività scientifica all’estero in modo “non occasionale” e fiscalmente residenti al di fuori dei confini italiani, rientrino in Italia e divengano ivi nuovamente fiscalmente residenti.

Peraltro, la richiamata circolare n. 4/2011 ha fatto salvi i chiarimenti interpretativi forniti dalla circolare 8 giugno 2004, n. 22/E (emanata a commento di un’analoga disposizione agevolativa, contenuta nell’art. 3 del D.L. n. 269/2003), specificando, inoltre, che: (a) la norma agevolativa è applicabile non solo per i redditi di lavoro dipendente e quelli di lavoro autonomo, ma anche per i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (ad esempio, le collaborazioni coordinate e continuative che abbiano ad oggetto lo svolgimento dell’attività di ricerca) e (b) che, per quanto riguarda il requisito della residenza fiscale italiana, valgono le disposizioni contenute nell’articolo 2 del Tuir, per cui, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Pertanto, le agevolazioni in questione non spettano qualora, nel corso dell’anno, l’attività sia resa in Italia per un periodo inferiore a 183 giorni (184 giorni per gli anni bisestili).

Relativamente alla residenza fiscale giova ricordare che i tre requisiti (iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, domicilio nel territorio dello Stato o residenza nel territorio dello Stato) sono alternativi, per cui il verificarsi di uno solo di essi è sufficiente perché un soggetto sia considerato residente in Italia. Sul punto si veda anche la circolare dell’Agenzia delle Entrate 2 dicembre 1997, n. 304/E con la quale, riprendendo quanto sostenuto dalla giurisprudenza prevalente, è stato precisato che la dimora abituale è caratterizzata dal fatto oggettivo della permanenza in un dato luogo e dall’elemento soggettivo di volersi stabilire in quel luogo. Occorre, pertanto, una valutazione d’insieme dei molteplici rapporti che il soggetto intrattiene in Italia. In sostanza, lo status di residente fiscale implica quindi l’esame delle possibili relazioni del soggetto – sia personali che reali – con l’Italia.

Da un punto di vista operativo, l’agevolazione fiscale in esame potrà essere riconosciuta: (a) direttamente dal datore di lavoro oppure (b) potrà essere richiesta direttamente dal collaboratore in sede di presentazione del modello Unico (o del modello 730).

In questa sede si intende evidenziare che l’alternativa della verifica della residenza fiscale sulla base di una “situazione di fatto” (centro degli interessi in Italia) risulta particolarmente delicata e complessa e, pertanto, è consigliabile attenersi esclusivamente al requisito “formale” dell’iscrizione anagrafica del collaboratore, onde evitare qualsiasi rischio di contestazione di mancata applicazione e versamento di ritenute IRPEF in capo al sostituto d’imposta. È in ogni caso opportuno, per il sostituto d’imposta, acquisire un’autocertificazione da parte del collaboratore, attestante l’acquisizione e, per gli anni successivi, il mantenimento della residenza fiscale in Italia. Unitamente a ciò, sarà anche raccomandabile ricevere un’autocertificazione anche degli ulteriori requisiti di legge (titolo di studio universitario o equiparato, precedente residenza non occasionale all’estero, documentata attività di ricerca o docenza svolta all’estero per almeno 2 anni consecutivi presso centri di ricerca pubblici o privati), accompagnati da certificati o attestazioni rilasciate dalle competenti autorità estere, tradotti in lingua italiana e autenticati dall’autorità consolare italiana che ne attesti la conformità all’originale.