25 Ottobre 2014

Cittadini americani al nodo FATCA

di Ennio VialEnrico Povolo
Scarica in PDF
Come noto, il
protocollo FATCA richiede che gli
Intermediari Finanziari Italiani, a seguito di uno specifico accordo IGA firmato tra Italia e Stati Uniti il 10 Gennaio 2014, compiano una “
due diligence” relativamente ai propri clienti aventi delle probabilità (“US indicia”) di essere fiscalmente residenti negli Stati Uniti.
Una volta identificato il soggetto fiscalmente residente negli Stati Uniti, l’Intermediario Finanziario Italiano deve comunicare tutti i suoi dati (somme investite, interessi maturati, dividendi percepiti, ecc.)
all’Agenzia delle Entrate la quale, a sua volta, li passerà all’IRS (
Internal Revenue Service) americano che controllerà la coincidenza di tali dati con quelli esposti nella dichiarazione dei redditi americana da parte del soggetto fiscalmente residente negli USA.
E qui sorgono i problemi. Infatti, ai sensi del diritto americano, un soggetto è fiscalmente residente negli USA quando sia presente una delle seguenti condizioni:
  • sia fiscalmente residente negli USA;
  • sia cittadino americano.
La prima condizione non sorprende e ricalca le caratteristiche ed i concetti base della residenza fiscale in Italia e negli altri Paesi. La seconda condizione, per contro, è un’anomalia prettamente americana: infatti, gli Stati Uniti sono l’unico Paese, con l’Eritrea, ad imporre l’obbligo ai propri cittadini di compilare la dichiarazione dei redditi anche se sono non residenti negli USA ed anche se i contatti ed i collegamenti con gli USA sono inesistenti da molti anni.
Questo fatto non ha creato grossi problemi fino ad ora: il cittadino americano fiscalmente residente in Italia, o in Germania, o in Giappone e privo di contatti con gli USA, semplicemente ignorava tale obbligo e presentava la dichiarazione dei redditi esclusivamente nel Paese di residenza, pagandoci le relative imposte.
Come detto, però, l’IRS pretenderebbe che, in virtù del solo legame di cittadinanza, il soggetto residente all’estero presentasse anche una dichiarazione dei redditi americana, calcolando le imposte americane sul reddito prodotto all’estero e scomputando dalle imposte americane quelle pagate all’estero.
Fino ad ora, dicevamo, tale problema non era emerso per due ragioni:
  1. era molto complesso per l’IRS cercare di capire dove potesse essere andato a finire ogni cittadino americano residente all’estero;
  2. era probabilmente economicamente non conveniente compiere questa ricerca, dato che l’eventuale vantaggio in termini erariali sarebbe stato solo quello di percepire la differenza fra la maggiore tassazione americana e la supposta minore tassazione del Paese di residenza fiscale del suo cittadino espatriato. Ora, se consideriamo che la tassazione media americana è tutto sommato abbastanza modesta (se confrontata, ad esempio, con le principali tassazioni europee) non ci sarebbe stato un gran vantaggio erariale per l’IRS a perseguire tali cittadini inadempienti.
La questione, per contro, è emersa con prepotenza negli ultimi tempi: le banche italiane, obbligate dalla normativa FATCA, hanno iniziato a
spedire a tutti i loro clienti un’autocertificazione da restituire firmata nella quale, dopo averli informati che i loro dati saranno spediti all’Agenzia delle Entrate e da questa all’IRS, chiedevano loro conferma di essere fiscalmente residenti o di essere cittadini USA.
Risulta, pertanto, evidente che molti cittadini americani residenti in Italia (ma la situazione è analoga altrove) si trovano o si troveranno davanti ad un dilemma ben complesso:
  • se non firmano l’autocertificazione, la banca italiana può chiudere il conto in essere e/o segnalare comunque il cliente (all’Agenzia delle Entrate) quale fiscalmente residente negli USA se vi sono indizi in tal senso;
  • se firmano l’autocertificazione e dichiarano di essere cittadini americani, e dunque là fiscalmente residenti, i loro dati finiscono nelle mani dell’IRS e si trovano di fronte al problema di non aver mai dichiarato al fisco americano né i loro redditi prodotti in Italia, né i loro investimenti finanziari italiani, primo fra tutti il loro conto corrente che ha “originato” il problema.
Ne sta nascendo una
questione controversa, dato che sono molti coloro che, in Italia e all’estero, pur di non sottostare a questa normativa percepita come inaccettabile, rinunciano alla cittadinanza americana, tant’è che il Dipartimento di Giustizia Americano si è visto costretto, per disincentivare il gran incremento di domande di rinunzia, a più che raddoppiare il costo di tale pratica.
L’unica possibile via d’uscita sono le cosiddette “
soglie minime di reddito”, al di sotto delle quali la dichiarazione dei redditi negli Stati Uniti non va presentata (e che sono diverse a seconda dello stato civile del contribuente) o la soglia minima al di sotto delle quali gli investimenti finanziari all’estero non vanno dichiarati all’IRS (pari a 10.000 dollari).
Così l’IRS ha messo a punto uno
specifico “ravvedimento” per tutti coloro che sono residenti all’estero da più di tre anni e che hanno mancato di presentare la dichiarazione dei redditi o la dichiarazione di detenzione di attività finanziarie all’estero.
Questa procedura, che prevede comunque l’intero pagamento delle imposte previste, richiede esplicitamente che il contribuente dichiari che i suoi inadempimenti siano “involontari” e dovuti a “
negligenza, inavvertenza o errore compiuto in buona fede sull’interpretazione di una norma”: per quanto curiosa, tale statuizione ha il senso di differenziare coloro che hanno omesso la dichiarazione per puro errore dai contribuenti che hanno operato con dolo.
Per questi ultimi, l’unica via di salvezza sono i programmi di
Volontary Disclosure (
Offshore Voluntary Disclosure Program).