24 Ottobre 2014

Anche i tifosi si fanno il “trust”

di Sergio Pellegrino
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Sulla stampa specializzata (quella sportiva si intende) negli ultimi tempi si è fatto un gran parlare dei
trust
dei tifosi o
supporters’ trust, atteso che il fenomeno è ovviamente d’importazione essendosi sviluppato in Inghilterra, patria del calcio e dei
trust.
Il
primo
supporters’ trust è stato infatti
istituito nel 1992 a
Northampton Town
per aiutare la squadra di calcio che si trovava in una situazione finanziaria difficilissima, assumendo una partecipazione azionaria nel club e indicando anche un membro del Consiglio di Amministrazione.
Oggi
nel Regno Unito esistono circa 140 supporters’ trust, in misura preponderante nel calcio (ma ve ne sono diversi anche nel rugby), che in determinati casi hanno un numero molto rilevante di membri: in particolare quello che supporta il Manchester United ne vanta circa 200.000.
Nel nostro Paese il fenomeno è decisamente più recente e ad oggi ci sono circa una
ventina di supporters’ trust, in particolare fra le
squadre calcistiche che militano in Lega Pro, avendo questa “stimolato” il fenomeno, come si evince dalla recente
determinazione nr. 26/2014.
Il documento prevede che le società sportive che intendono aderire al progetto devono intanto nominare quale osservatore permanente all’interno del Consiglio di Amministrazione un rappresentante della tifoseria.
Entro i successivi tre mesi, devono depositare presso la Lega Pro copia conforme dell’atto costitutivo e dello statuto di un
trust, espressione della tifoseria locale, assieme alla copia conforme del verbale assembleare della società sportiva nella quale viene nominato, quale membro del Consiglio di Amministrazione, almeno un rappresentante del
trust.
Il termine
trust è più volte ripetuto nel documento della Lega Pro e quindi la domanda che ci si pone è
se
vi sia un legame con l’istituto “tradizionale” del trust, come il nome lascerebbe intendere.
In realtà non è così e
non vi è alcuna comunanza fra le due fattispecie (se non appunto nella denominazione): il
supporters’ trust è una
associazione no profit di tifosi, che si pone l’obiettivo di “influenzare” i processi decisionali dei club, acquisendo generalmente una partecipazione al capitale e esprimendo se possibile un amministratore, con la finalità di rafforzare il legame con il territorio.
Nel nostro Paese sono stati istituiti nella
forma dell’associazione o della cooperativa, per avere un soggetto giuridicamente riconosciuto che garantisca la massima democraticità interna e l’applicazione del principio “
una testa-un voto”.
L’autotassazione dei tifosi delle società in difficoltà non è certamente una novità, ma qui non è “a fondo perduto”: I tifosi assumono un
ruolo di investitori, garantendo una maggiore stabilità alla società da un punto di vista economico e, conseguentemente, una minore “dipendenza” dal proprietario.
Le regole sul
fair play finanziario, gli introiti da biglietti, sponsor e televisioni che si riducono, ci inducono a ritenere che
il fenomeno si svilupperà nei prossimi anni in misura sempre maggiore nel calcio, ma non soltanto.
Le stesse logiche, infatti, possono valere anche per le
altre discipline sportive, in relazione alle quali, anzi, i minori
budget richiesti possono rendere
ancora più importante un ruolo “attivo” dei tifosi.