6 Giugno 2016

L’abuso del diritto – I parte

di Marina RomanoPietro Vitale
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Dal 2 settembre 2015 i termini elusione (prima contrastata con l’articolo 37-bis DPR n. 600/1973) ed abuso (prima contrastato mediante il ricorso a principi comunitari e costituzionali di cui all’articolo 53 Costituzione) sono stati unificati e codificati dal nuovo articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente (L. n. 212/2000) rubricato Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale.

L’articolo 1, comma 1, D.Lgs. 5 agosto 2015 n. 128, ha infatti abrogato l’articolo 37-bis sostituendolo con l’articolo 10-bis avente efficacia a decorrere dal 1 ottobre 2015. Agli atti notificati entro il 30 settembre 2015 si applicano le vecchie regole, mentre per tutte le operazioni poste in essere prima – per le quali il procedimento amministrativo non si è concluso con l’atto finale (declinando con ciò il principio del tempus regit actum) – e poste in essere dal 1 ottobre 2015 si applica il nuovo articolo 10-bis.

La nuova norma antiabuso abbraccia e ricomprende tutti i tributi sia diretti sia indiretti, fatta salva la speciale disciplina procedimentale in materia doganale. Non è stato tuttavia abrogato l’articolo 20 del DPR n. 131/1986, ma ciò non è una dimenticanza bensì, come si ritiene, l’implicita ammissione che tale articolo non ha mai costituito una norma antielusiva ora da abrogare. In tal senso infatti la Cassazione n. 21770/2014 ne aveva già disconosciuto la valenza antielusiva, contrariamente alla precedente Cassazione n. 16345/2013 che lo ha usato per una riqualificazione dell’operazione anche sul piano economico.

La nuova nozione di abuso non rende nulli i negozi conclusi dal contribuente bensì li rende solo inefficaci ai fini tributari essendo la condotta abusiva inopponibile all’Amministrazione finanziaria.

Vediamo ora quali sono i caratteri salienti normativamente stabiliti. I commi 1 e 2 dell’articolo 10-bis, qualificano abusive quelle operazioni (ossia quegli atti fatti, atti e contratti), anche tra loro collegate:

  • da cui consegue essenzialmente un vantaggio fiscale indebito non previsto (nel senso di inaspettato) dall’ordinamento tributario. I benefici fiscali possono essere anche non immediati, quel che conta è che essi siano realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario. Un vantaggio è indebito se viola la ratiodella norma che doveva invece essere applicata. Se il vantaggio non è indebito non è necessario verificare le altre condizioni che seguono. La ricerca della ratio della norma deve essere sempre in linea con la lettera della norma come voluto dall’articolo 12, comma 1, delle preleggi (nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore), dovendosi avvalere delle relazioni governative (seppur non siano indicate tra le fonti del diritto). Nel caso di specie, la relazione illustrativa al D.Lgs. n. 158/2015 è molto importante in tal senso. Nell’individuare la ratio legis, non deve guardarsi all’elemento psicologico ma solo se vi è un vantaggio indebito. L’abuso infatti nasce per effetto di un comportamento e non per effetto della volontà del soggetto agente.  Nello schema di decreto delegato appariva anche la seguente locuzione “indipendentemente dalle intenzioni del contribuente”, ciononostante si ritiene che il non aver riproposto tale frase nell’articolo 10-bis non comporti una verifica dell’elemento psicologico in quanto si finirebbe per non rendere oggettivo il concetto di abuso che deve, invece, essere ricercato in un comportamento e basta. Ciononostante la verifica delle intenzioni del contribuente sono avvalorate dal successivo comma 3 secondo cui valide ragioni extrafiscali (volute quindi dal contribuente) non fanno configurare l’abuso. La verifica dell’indebito vantaggio fino ad oggi è stata spesso dimenticata in quanto ci si incentrava principalmente sulla ricerca delle valide ragioni economiche. Ad oggi, quindi, un’operazione seppur caratterizzata da valide ragioni economiche può essere qualificata sempre come abusiva se realizza un vantaggio fiscale indebito contrario alla ratio della norma fiscale. In passato al fine di individuare un vantaggio fiscale indebito si era soliti comparare l’operazione controllata con un’altra operazione alternativa (proposta dall’Amministrazione finanziaria) più fisiologica e naturale ma con onere fiscale maggiore. Questo non dovrebbe essere più possibile in quanto ora occorre vedere se il vantaggio fiscale è contrario alla ratio della norma fiscale afferente all’operazione posta in essere. Per riassumere tale concetto si può sinteticamente affermare che l’abuso inizia dove finisce il legittimo risparmio di imposta;
  • prive di sostanza economica, nel senso che sono inidonee a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Indicatori di assenza di sostanza è la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato. Tale punto è mutuato dalla Raccomandazione della Commissione del 6 dicembre 2012 in tema di pianificazione fiscale aggressiva ove si considerano senza sostanza e non genuine tutte le operazioni circolari (come ad esempio può accadere ai fini ACE) e quelle che si compensano/annullano. Tali operazioni infatti non possano modificare (in quanto si annullano/compensano) il reddito e il patrimonio delle parti. È il caso di due individui soci di Srl che conferiscono denaro in una newco che poi acquista la Srl dai soci, i quali si vedono restituito il conferimento con un beneficio Ace sulla capitalizzazione della newco; in una tale situazione non accade nulla di nuovo. Al contrario non è abusivo e privo di sostanza economica l’accorciamento della catena societaria per effetto di fusioni; infatti, non esiste una norma di utilizzo prioritario delle operazioni straordinarie che imponga ad esempio di utilizzare la liquidazione (realizzativa) anziché la fusione (neutrale). Per riassumere tale concetto si può sinteticamente affermare che la tassazione deve essere sempre allineata alla sostanza economica;
  • ove il vantaggio fiscale perseguito non sia marginale e tale vantaggio sia l’effetto essenziale dell’operazione. Non sono invece mai abusive le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente (comma 3). In merito a tali ragioni extrafiscali, va da sé che indagare su di esse significa entrare nel merito di scelte che competono al contribuente/all’azienda; e, poiché esse non sono “codificate”, queste non possono che riflettere le opinioni soggettive del verificatore/giudice di turno che possono indicare una diversa strada che arrivi al medesimo o analogo risultato, ma con un maggior carico impositivo. Il fatto che il vantaggio fiscale sia non marginale significa che l’operazione non sarebbe mai stata posta in essere in assenza di tale vantaggio; non occorre invece giustificare tale vantaggio con la presenza di valide ragioni economiche e occorre sempre – in primis – battezzare il vantaggio come indebito.